Bagnaia campione nella storia: il Mondo è tuo
Campione del Mondo, cancellando errori, paure, un’attesa infinita della Ducati Godot e del Belpaese delle due ruote che aspettava da tredici anni l’erede di Valentino Rossi e da cinquanta un italiano che riportasse lassù in cima, al top della top class, una moto italiana. Dai tempi di Giacomo Agostini e della MV Agusta (in tutto erano solo altri due: Umberto Masetti su Gilera nel ‘50 e ‘52 e Libero Liberati, sempre su Gilera, nel ’57). Un ruggito che cancella l’ennesima delusione dell’altra Nazionale dei motori, della Ferrari che invece resta ancora al palo da quel 2007, che ora non sarà più un peso ma tornerà gioia. A Valencia, cancellando anche la prima grande ferita del Dottore, quella sconfitta che davanti alla tv fece piangere un ragazzino di Chivasso che aveva nove anni e già sognava di essere al suo posto. E ora c’è. Era il 2006 del Poo-Po-Po-PoPo-Poooo-Poo azzurro di Berlino, è il 2022 dei cori da stadio felici alla vigilia di un altro Mondiale senza l’Italia del pallone. In Qatar dove questa straordinaria cavalcata è iniziata a marzo con una caduta. La prima di cinque che l’hanno fatto precipitare a -91 dal sogno a giugno. Finisce a +17, grazie a 7 vittorie, 10 podi, 5 pole, 3 giri veloci, 189 condotti in testa e un anonimo 9° posto nell’ultima gara, ma con un colpo di genio e cattiveria da campione al secondo giro, quando battaglia per la prima volta con Fabio Quartararo e arriva una sportellata che gli fa perdere un’aletta e l’efficacia della GP22 ma nega al rivale la possibilità di restare agganciato a quelli davanti e vincere. L’unica chance per il francese di sperare. Pecco Bagnaia da Chivasso, nato Francesco il 14 gennaio 1997 a Torino ma da subito solo Pecco (soprannome datogli dalla sorella Carola). Adesso, con maglietta e parrucca rossa marcia di Prosecco, Carola ne gestisce come un metronomo ma il sorriso la vita da pilota.Sullo stesso argomentoPerché Bagnaia si chiama Pecco: la spiegazioneMoto Gp
La vita di Pecco
Assistente personale e amica della fidanzata Domizia Castagnini, fashion buyer con oltre trentamila follower che lavora un una boutique di moda. Nipote dell’ex calciatore Gianfranco Leoncini, di Chivasso come Pecco. Una storia partita da molto lontano. «C’è voluto tanto prima che si avvicinasse».E che dura da tanto. Sette anni. Dal 2019 convivono. A Pesaro, dove all’inizio del 2020 per l’esplosione della pandemia ha passato due mesi e mezzo senza potersi allenare al Ranch per colpa della burocrazia italiana. «Avevo ancora la residenza a Chivasso e quindi non potevo uscire di casa». Ma è arrivato Turbo, un bassotto. Quello che Pecco ha messo da tempo. Anche grazie agli affetti. Fondamentali nel sua essere. Mamma Stefania, quella che meno vuole apparire, papà Pietro, proprietario di un’azienda che produce e installa ascensori che lo voleva fantino perché appassionato di ippica. Ma galeotto fu il rombo della Ducati 996 dello zio Claudio. “Arriva Dodi” urlava Pecco quando lo sentiva, a distanza. «Ho subito amato la Ducati, per il rumore unico che faceva e il colore rosso, bellissimo» ripete Pecco, che nel calcio invece “veste” bianconero. Portato a 7 anni a un evento promozionale della Fim ad Alessandria «s’è innamorato, non è più sceso dalla minimoto – racconta Pietro -. Ne abbiamo presa una a nolo. Distruggeva le gomme nel parcheggio del centro commerciale. Poi il kartodromo di Viverone, è iniziato così». Nel 2007 la prima vittoria a Codogno, l’anno dopo la prima trasferta. «Sedici ore in camper fino in Danimarca, una figata». Nel 2010 il primo volo. In Spagna, per la 125, dove per due anni corre il Cev (con la squadra di Emilio Alzamora, l’ex manager di Marc Marquez) e dopo aver vinto l’Europeo minimoto. E aver conosciuto per la prima volta Quartararo, due anni più piccolo. Va a scuola. ITIS di Chivasso, Meccanica. «Facevo tante assenze e piovevano i due e i tre. Recuperare così diventa difficile e ho smesso».
Rossi e l’Academy
«Un bravo ragazzo, una bella famiglia» certifica anche Valentino, che l’ha salvato nel 2014, prendendolo nella sua Academy e nella sua neonata squadra dopo un primo anno di infelicità nel Mondiale di Moto3 col Team Italia e un compagno di squadra ingombrante e più dispettoso di lui, Romano Fenati, che s’è ritrovato nel box anche con lo VR46 Sky Racing Team. Riperderlo? No, così è stato indirizzato in Mahindra, da Aspar (Jorge Martinez). Dove, con una moto inferiore e Jorge Martin per compagno ma un clima sereno è esploso. A Le Mans 2015 il primo podio, l’anno dopo ad Assen la prima vittoria, tatuata con data (26/6/2016), layout e coordinate geografiche del circuito olandese. Nel 2017 il ritorno in VR46, con il passaggio in Moto2. Quattro podi, titolo di rookie dell’anno nella stagione del Mondiale di Franco Morbidelli. «Il riferimento, con la voglia di imitarlo, di batterlo, di migliorarmi». Nel 2018 tocca a lui. Campione a Sepang con 8 vittorie e 12 podi. E la firma con la Ducati per la MotoGP già in tasca da mesi. Team Pramac. Sfiora il podio in Australia, salta Valencia per la frattura del polso. L’anno dopo due gare per quella della tibia, al rientro è 2° a Misano. Guadagna il team ufficiale. È il 2021 di Quartararo, ma le ultime sei gare sono una cavalcata (4 vittorie, la prima ad Aragon). Inizia questa stagione nel ruolo di favorito, ma inizia male. La GP22 è complicata, non si sente ascoltato e deve fare troppe prove di novità in gara. «Non sono un collaudatore, sono un pilota» sbotta in Qatar dove cade travolgendo Martin. Quattro gare no, poi vince a Jerez, ma arrivano altri errori. Cade a La Mans in lotta con Bastianini e (dopo essere stato buttato giù da Nakagami a Barcellona) in Germania con Quartararo. E precipita a -91 con dieci gare da disputare. Mondiale finito per tutti. Non per lui. «Lì ho capito che Fabio era più completo di me, che dovevo migliorare». A Silverstone, prima della sosta estiva, inizia la grande rimonta. Quattro vittorie di fila, lo stop in Giappone, il sorpasso con i podi in Thailandia e Australia, la botta decisiva con la vittoria in Malesia. E weekend da paura che finisce con l’abbraccio di Quartararo. «Nessuna recriminazione: Pecco ha meritato il titolo, non ha mai smesso di crederci». LEGGI TUTTO