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    Storie di Volley: Alessandra Ambrosio, la top model con il “vizio” del Beach

    Di Stefano Benzi
    Si chiama Alessandra Ambrosio e… no, non è una giocatrice di volley professionista. Anche se potrebbe sembrarlo, dalle foto che ha pubblicato recentemente sui suoi social e che sono state diffuse in tutto il mondo dalle agenzie. Un po’ come quelle che pubblichiamo nella nostra rubrica Volley Glamour, dove gli atleti della pallavolo internazionale diventano stelle dorate del mondo social.
    Alessandra ha 39 anni ed è una delle modelle più famose del mondo. Ha lavorato per anni come top model per Victoria’s Secret. Le si attribuiscono amori molto importanti: pare che alcuni anni fa anche Leonardo DiCaprio avesse perso la testa per lei. Alessandra, che ormai ha lasciato da tempo il mondo delle passerelle, ha postato alcune foto in spiaggia nelle quali gioca a Beach Volley. I suoi addominali sono sempre oggetto di studio e di invidia e nonostante i pantaloncini larghi, i capelli raccolti e gli occhialoni, come una mamma qualunque, il suo fisico è sempre da pin-up.
    Foto Celeb Mafia
    Alessandra Ambrosio, nome e cognome che tradiscono la sua origine italiana, è in realtà brasiliana. Originaria di Erechim, delizioso villaggio nel bel mezzo delle foreste del Rio Grande do Sul, non lontano da Florianopolis, la città più italiana del Brasile, Alessandra è una grandissima appassionata di volley: “Ho cominciato a giocare sulla spiaggia come tanti, con i miei amici quando ero ragazzina. Era il modo più divertente per passare il tempo, prendere il sole e restare in forma. Qualcuno mi aveva anche detto che avevo un discreto talento e che avrei potuto giocare, ma alla fine il mio destino è stato un altro”.
    Un destino non da poco. Prima di lasciare definitivamente la carriera per dedicarsi a una propria linea di abbigliamento e costumi da bagno, Alessandra è stata una delle modelle più pagate del mondo: un cachet vicino al mezzo milione di dollari a sfilata. L’esclusiva con Victoria Secret le ha garantito entrate straordinarie e un patrimonio che oggi sfiora i 70 milioni di dollari. A 39 anni, sta riorganizzandosi una nuova vita dopo la separazione dal marito Jamie Mazur, miliardario americano fondatore di Re-Done che la sta finanziando in tutte le sue operazioni e alla quale è rimasta molto legata.
    Foto Celeb Mafia
    Alessandra vive a tempo pieno con i suoi figli, Anja Louise (12 anni) e Noah Phoenix (8). Una vita agiata e dinamica: è una blogger affermata, molti si contendono a peso d’oro il suo ruolo di testimonial. Ultimamente un suo reportage sulla crioterapia è stato pagato profumatamente dalla Next Health, una società che si occupa di terme e benessere. È fidanzata con Nicolò Oddi, il fondatore della Alanui, italiano che ha fatto fortuna con il suo marchio negli Stati Uniti e che si divide tra Italia, Usa e Brasile.
    Una famiglia allargata di enorme successo. Anche il marchio di Alessandra, Ali per Nicolò e per gli amici, ha avuto grande riscontro: si chiama Gal Floripa. Gal in portoghese vuole dire molte cose ma fondamentalmente è così che vengono chiamate le belle ragazze… una versione locale di ‘girl’. Floripa è il il nomignolo che viene dato a Florianopolis, la città brasiliana dove Alessandra ha scelto di vivere e dove torna ogni volta che i suoi impegni a Los Angeles le danno tregua.
    Foto Celeb Mafia
    Il campo da Beach Volley e il pallone da pallavolo restano però il suo passatempo preferito: “Gioco spesso con i miei figli e i miei amici in spiaggia. Anja ama moltissimo il volley e dimostra di essere molto appassionata. In Brasile la pallavolo è uno sport nazionale e io ho molte amiche che ne hanno fatto una professione. Una delle linee dei miei costumi sarà pensata apposta per chi gioca a beach volley e per chi con la spiaggia deve avere un rapporto quasi di professionalità perché lavora come istruttore, bagnino o atleta professionista. Il volley è ancora il modo migliore per rilassarmi per me, proprio come venticinque anni fa, prima che la mia carriera cominciasse. Adoro infilarmi la prima cosa che trovo, raccogliere i capelli e palleggiare con i miei figli”.
    Il concetto di prima cosa che si trova nell’armadio di una donna del genere è certamente molto lato. Ma le foto di Alessandra Ambrosio che gioca sulla spiaggia sono diventate virali molto più di qualsiasi partita ufficiale diventando una sorta di promozione trasversale per tutto il movimento. Il Beach Volley ringrazia… LEGGI TUTTO

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    Storie di Volley: Debbie Green Vargas, da schiacciatrice tascabile a regista geniale

    Di Stefano Benzi
    Quando la pallavolo non era ancora uno sport che teneva in grande considerazione standard fisici di un certo rilievo e il libero non era minimamente tenuto in considerazione da chi stava studiando l’evoluzione del gioco, una ragazzina di 12 anni, magra e gracilissima ma con un’impressionante potenza di salto, si presenta a una selezione per la squadra di pallavolo della sua scuola. La ragazzina si chiama Deborah Green: ha due gambe sottili sottili e un po’ storte e il suo primo allenatore la definisce “una molla impazzita”.
    Ha una storia molto particolare: è nata in Corea del Sud. Suo padre fa parte delle forze della Nato che resteranno a presidiare il paese per molti anni durante la crisi internazionale del 38esimo parallelo. Originario del Tennessee ,il maggiore Green rimane in Asia per diversi anni. Poi si innamora della cameriera della tavola calda dove era solito pranzare quasi tutti i giorni. Si sposano nel 1958 e nasce la piccola Deborah, figlia unica di una famiglia atipica, che in pochi anni respira l’aria cosmopolita della base militare del padre imparando a parlare non solo coreano, ma anche giapponese, inglese e un po’ di spagnolo.
    Quando Deborah è ancora piccolissima, tutta la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, in California. Deborah, in un paese che non ha ancora completamente superato la sua avversità per le etnie asiatiche dopo la Seconda Guerra Mondiale, cresce con qualche disagio in una scuola dove essere americani e bianchi ha ancora una certa importanza. Le vacanze sono sempre alla Hawaai: e qui Deborah fa amicizia con la pallavolo. Un colpo di fulmine. La ragazzina ha un talento incredibile nella gestione dello spazio e atleticamente è un fenomeno: salta come un grillo, arriva ovunque, non ha paura di niente.
    Foto Half-Korean.com
    A dodici anni il primo impatto con una palestra: il suo primo allenatore la prova come universale, all’epoca si chiavano così i giocatori che si alternavano tra attacco e difesa, con pochi schemi e molto senso di improvvisazione. Poi, improvvisamente, la folgorazione: Debbie si trova a dover palleggiare “…e ho avuto la sensazione che si trattasse di una magia – aveva raccontato la sua allenatrice di allora in un documentario – aveva un talento incredibile, innato per andare incontro a qualsiasi traiettoria, anche la più sporca, per trasformarla in un appoggio perfetto”.
    La schiacciatrice tascabile, strepitosa in ricezione, comincia ad allenarsi per diventare palleggiatrice. Si allena per mesi e mesi arrivando ad alzare una frequenza di palloni impressionanti, anche venticinque al minuto. E finito l’allenamento Deborah rinforza le sottilissime leve con tappeti elastici e salti da fermo. In due anni rimane piccola, mingherlina, ma con due braccia fatate e due mani d’oro. Il papà, di fronte a giocatrici che si affacciano alle high school con un fisico da fenomeni, le racconta di un giocatore di football, Mercury Morris, running back di velocità formidabile che arrivava a malapena all’1.75: un nano per gli standard del suo sport. È l’esempio del quale Debbie ha bisogno.
    Perché nonostante tanti allenamenti Debbie rimane piccola, anche se cresce enormemente sotto l’aspetto del temperamento e della forza agonistica: diventa una leader. A soli sedici anni è capitano della sua rappresentativa scolastica, viene selezionata per la rappresentativa nazionale e vive il suo riscatto. Una ragazza che ha sempre vissuto le sue radici con un certo disagio diventa un punto di riferimento nazionale.
    La pallavolo sta cambiando: nessuno guarda alla potenza dell’opposto, o alle statistiche: tutto ruota attorno alla personalità dell’alzatore. Debbie si allena sei ore al giorno per diventare la migliore alzatrice possibile: salta più delle sue schiacciatrici e si inventa schemi e soluzioni a ogni partita. Talmente tanti che il tecnico della sua squadra universitaria a un certo punto le chiede di ridurre le potenziali azioni offensive a non più di cinque moduli, perché le compagne non riuscivano a reggere il suo ritmo.

    È tra le prime giocatrici a capire che il servizio è un’arma: a forza di tentativi perfeziona il suo jump set battendo ogni anno il record di ace. Vince due titoli USC, chiude la stagione 1977 con le USC Trojans dominando il titolo AIAW con 38 vittorie e appena 7 set persi. La sua efficacia al servizio è del 94%, gli ace sono non meno di quattro a partita, almeno uno a set. Arriva la nazionale: quando nel 1980 gli USA boicottano i giochi di Mosca Debbie non si dà pace. Piange a dirotto per due giorni e due notti. E decide di lasciare la pallavolo. Ma al terzo giorno è in palestra, si allena da sola per sette ore di fila fino a quando il custode della palestra non le dice “vattene a casa, Debbie”.
    Appuntamento rinviato al 1984 a Los Angeles: gli Stati Uniti sono d’argento, solo nel 2008 la nazionale americana riuscirà a fare altrettanto. Le americane perdono solo dalla Cina di Lang Ping. Una beffa: la squadra cinese viene battuta 3-1 nel girone eliminatorio ma domina la finalissima, 3-0. Nel 1988 le Olimpiadi sono a Seul. Debbie sarebbe la testimonial perfetta… ma il nuovo CT dice che “è poco versatile” e la lascia a casa. Debbie, che nel frattempo ha sposato Joseph Vargas, monumentale atleta della nazionale statunitense di pallanuoto, decide che è il momento giusto per allargare la famiglia. Nasce Nicole, la sua prima figlia. E comincia a pensare che giocare non sia poi l’unica cosa da inseguire con ostinazione. Arriva anche Dana e la pallavolo non è più l’unica cosa che conta.
    Foto Half-Korean.com
    Rifiutando qualsiasi corte da parte di club europei e asiatici, i giapponesi erano pronti a pagarle oro una stagione da allenatrice, Debbie Green mette su casa a Santa Barbara. Si iscrive all’università a Long Beach, facoltà di psicologia e comunicazione, si laurea e allena mattina, pomeriggio e sera guidando per 23 anni il programma di volley del suo ateneo. Vince quattro titoli nazionali e si ritira nel 2009 proprio quando sua figlia Nicole entra a far parte del programma della squadra nazionale. E qui c’è un episodio che merita di essere citato, anche se sfocia nella leggenda…
    Accompagnando la figlia a un camp a Colorado Springs, il CT Hugh McCutcheon le chiede se abbia voglia di dare una mano, se voglia entrare nel programma come consulente. Ma Debbie, che dimostra la metà dei suoi anni e continua ad allenarsi come una ragazzina, gli risponde che non ha più voglia di passare in palestra otto ore al giorno per sei giorni la settimana. McCutcheon deve rassegnarsi, ma si toglie una soddisfazione: le appoggia una palla per vedere il suo tocco, quello che i commentatori americani avevano definito il suo “magic flow”. Debbie, schiena al tecnico, si gira di scatto, si porta sotto la palla e alza un pallone perfetto, che sembra dipinto.
    A palla ferma, si dice che il CT le abbia chiesto se non avesse voglia di giocare ancora un po’… LEGGI TUTTO