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    Pam Shriver si confessa: “Quando avevo 17 anni ho avuto una relazione inappropriata con il mio coach 50enne”

    Pam Shriver and Don Candy arriving in Sydney in 1982 – CREDIT: FAIRFAX MEDIA ARCHIVE

    L’ex n.3 statunitense Pam Shriver ha deciso di raccontare una pagina dolorosa della propria vita, legata ai suoi primissimi anni sul tour WTA. L’ha fatto in esclusiva per il quotidiano britannico Telegraph con il collega Simon Briggs, una sofferta confessione per aiutare tutti i giovani sportivi che si ritrovano in un rapporto complicato con il proprio coach o membro del proprio staff, e non sanno come uscirne.
    “Quando la pandemia ha ridotto il mio programma di lavoro l’anno scorso, mi sono resa conto che non potevo più rimandare. Ho finalmente trovato il coraggio di consultare un terapista e di affrontare le mie esperienze di giovane tennista. Ora, un anno dopo, ho deciso di condividere pubblicamente la mia storia” inizia Pam. Il suo racconto è diviso in un riassunto della sua vicenda intima, e poi in una seconda parte (molto dettagliata) in entra in quegli anni per lei molto complicati, fortunati in campo ma difficili per il rapporto che si era venuto a creare con il suo allenatore, Don Candy, oltre 30 anni più grande di lei.
    “Il riassunto di questa storia è che ho avuto una relazione inappropriata e dannosa con il mio allenatore, molto più grande di me, iniziata quando avevo 17 anni ed è durata poco più di cinque anni. Di seguito ho esposto i dettagli del mio viaggio doloroso ed emotivo. Non è stato facile svelare quello che è successo, ma credo che questa sia una questione importante e che deve essere portata allo scoperto. La mia motivazione principale è far sapere alla gente che tutto quel che mi ha successo mi affligge ancora, molto. Credo che le relazioni di coaching che sorpassano il limite siano così comuni nello sport, in modo allarmate. La mia esperienza particolare, però, è nel tennis, dove ho assistito a dozzine di casi nei miei quattro decenni vissuti da giocatrice prima e commentrice poi. Ogni volta che sento parlare di un giocatore che sta uscendo con il proprio allenatore, o vedo un fisio maschio che lavora su un corpo femminile in palestra, il mio campanello d’allarme suona. Non sono solo le donne a soffrire di relazioni di coaching nocive, ma costituiscono la maggioranza. A volte sono ragazze giovani e uomini molto più grandi. A volte le età sono simili e si potrebbe obiettare che due adulti consenzienti hanno il diritto di fare ciò che vogliono. Ma mescolare la tua vita personale e professionale crea ogni sorta di tensione extra, specialmente nel mondo chiuso dello sport. Per qualsiasi giocatore o atleta che leggerà tutto questo, voglio sottolineare gli aspetti negativi del sorpassare i confini personali e professionali. La mia esperienza suggerisce che, quando separi queste due parti della tua vita, non è solo il tuo benessere emotivo a migliorare, ma anche le tue prestazioni in campo. Che dovrebbe essere un incentivo a rompere il ciclo”.
    Riportiamo alcuni estratti del racconto completo, in cui Pam descrive come si sia innamorata fin da piccola del suo coach e di come lui non abbia subito approfittato di lei, ma poi la situazione sia diventata una vera relazione clandestina che lui, l’adulto, non è riuscito a gestire. Shriver conobbe il suo futuro allenatore grazie a delle lezioni intraprese da piccola nel 1971, quando aveva solo 9 anni. L’americana iniziò ad allenarsi con il coach, crescendo velocemente di risultati.
    “Quando avevo intorno a 13 anni, Don mi disse che lui e sua moglie sarebbero tornati a casa ad Adelaide per qualche mese.  Tornai a casa e mi feci la doccia. E poi, con mia sorpresa, ho iniziato a singhiozzare. Non me ne rendevo conto in quel momento, ma stavo appena entrando nella pubertà e stavo iniziando ad innamorarmi di lui”. I due continuarono il loro percorso insieme, con la rapida ascesa di Pam nel tennis Pro.
    “Nel bel mezzo di un mio periodo non facile in torneo, Don e io ci siamo trovati seduti in un’auto a noleggio fuori da un’arena al coperto a Minneapolis. Avevo appena perso un’altra partita al primo turno e Don mi parlava di cose che avrei potuto fare diversamente: il solito tipo di conversazione allenatore-giocatore. Ho iniziato a singhiozzare. Ricordo molto chiaramente di aver detto: “C’è qualcos’altro qui”. Lui mi ha chiesto: “Cosa?”, e ho risposto: “Mi sto innamorando di te”. Avevo 17 anni, lui ne aveva 50. È qui che le cose avrebbero potuto e dovuto prendere una piega diversa. Se Don fosse stato meglio informato, avrebbe potuto essere più furbo riguardo alle potenziali complicazioni che derivano dall’allenare una ragazza adolescente. Chiaramente, non era un predatore. Quando ho parlato in quell”auto a noleggio, non sapeva cosa fare. Ma aveva questo grande talento per le mai, una finalista agli US Open di soli 16 anni (aveva giocato la finale nel 1978, ndr), e non voleva lasciarmi andare. Ho ancora sentimenti contrastanti su Don. Sì, io e lui siamo stati coinvolti in una relazione lunga e inappropriata. Stava tradendo sua moglie. Ma c’era molto in lui che era onesto e autentico. Lo amavo. Lui era l’adulto, avrebbe dovuto essere un adulto degno di fiducia. In un mondo diverso, avrebbe trovato un modo per mantenere le cose professionali. Solo dopo la terapia ho iniziato a sentirmi un po’ meno responsabile. Ora, finalmente, mi sono resa conto che quello che è successo è colpa di lui. La mia relazione con Don è stata un’esperienza traumatica per me. I postumi sono durati ben oltre il tempo trascorso insieme. La nostra relazione ha plasmato la mia intera esperienza di vita romantica. Ha complicato la mia capacità di formare relazioni normali e ha stabilito determinati schemi che si sarebbero ripetuti: la mia continua attrazione per gli uomini più anziani e le mie difficoltà nel capire come mantenere sani confini. I successivi cinque anni furono un periodo in cui tutto diventava sfocato, quando i confini venivano superati. Ero così giovane, non sapevo come chiedere aiuto. Non capivo in cosa mi stavo cacciando e non sono sicura che lo capisse nemmeno lui. La relazione iniziò a diventare fisica, intima. In realtà non abbiamo avuto rapporti fino a quando avevo 20 anni, due anni e mezzo dopo la nostra conversazione nell’auto a noleggio a Minneapolis. Ma abbiamo condiviso le stanze. Abbiamo fatto praticamente tutto quello che due persone attratte l’una dall’altra possono fare. Don non ha mai abusato sessualmente di me, ma c’è stato un abuso emotivo. Ho provato tante emozioni orrende e mi sono sentito così sola”.
    Una confessione dolorosa che, va avanti raccontando come poi il loro rapporto si interruppe e con altri coach non accadde poi niente dal punto di vista sentimentale. Chiusa quella pagina, Pam visse “i migliori anni della mia vita”, libera da quella relazione. Il suo racconto si chiude con un accusa al mondo dello sport, che porta a queste problematiche, una riflessione e una domanda: “Il nostro primo e più grande ostacolo è la cultura del silenzio. Se vogliamo proteggere gli atleti di domani, più persone devono parlare delle loro storie. Stiamo parlando di insidie che colpiscono molte, molte persone. L’intera questione deve uscire dai luoghi oscuri dello sport. Ma le autorità sono pronte ad ascoltare? In passato delle occasioni sono state perse. Nel 1993, il giornalista investigativo Michael Mewshaw scrisse un libro, Ladies of the Court, in cui suggeriva che il tennis ‘deve avvisare i giocatori sul potenziale abuso [e] avvertire gli allenatori che il comportamento di sfruttamento sarà penalizzato’. La sua ricompensa per aver tentato squarciare quel velo di omertà è stata vedere il suo libro bandito dai tornei. Spero che possiamo fare di meglio nel 2022″.
    Pam Shriver ha dimostrato un enorme coraggio nel mettersi a nudo, nel confessare un passato così difficile nella speranza di poter aiutare i giovani che rischiano (o vivono) situazioni simili.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO