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    Claudio Grassi: “Agnese Calzolai gioca con qualità e leggerezza. Il talento? È qualcosa che hai dentro, proprio dei giovani che danno ‘impegno gratis’”

    Agnese Calzolai e Claudio Grassi

    L’ex Pro Claudio Grassi, oggi tecnico nazionale presso il AT Bibbiena, ha vissuto un inizio 2023 intenso accompagnando la piccola e talentosa allieva Agnese Calzolai al Lemon Bowl, dove la toscana è giunta in finale nel tabellone Under 12, battuta in due set dalla favorita del seeding (e grande talento) Victoria Lanteri. Una bella esperienza per Agnese e anche per Claudio, che ci ha parlato della Calzolai e sull’insegnamento ai ragazzi più giovani e di prospettiva. Molto interessanti le parole del coach sull’importanza di insegnare la cultura del lavoro, passo decisivo per la crescita umana e sportiva.

    “Lavoro con Agnese da due mesi e mezzo, da quando mi sono spostato a Bibbiena diventando il direttore della scuola tennis” ci racconta Claudio, “non molto tempo. Quindi il merito della crescita e livello raggiunto dalla ragazza è innanzitutto frutto del suo talento e assolutamente da dividere col suo maestro storico, che la segue da sempre, Tiziano Lunghi. Abbiamo un’ottima sintonia, seguiamo insieme il progetto della Calzolai che già da tempo sta mostrando di avere le carte in regola per provare fare cose importanti. Ricordo che Agnese ha vinto nel 2019 il Lemon Bowl nella categoria Under 8. Per me invece è stata una prima volta alla manifestazione, non l’ho mai giocata nemmeno quando ero uno junior. Ne avevo sempre sentito parlare un gran bene, e devo confermare che è un bell’evento. Si vedono tanti bambini con talento e assai avanti rispetto alla loro età per come affrontano lo sport, dal riscaldamento a come parlano coi loro maestri, come preparano le partite, come fanno defaticamento… quasi fin troppo oserei dire! Agnese per ora è una ragazza che ama il tennis e vi si dedica con grande attenzione, ma affronta la sua crescita in modo più “leggero”. Le piace anche il calcio e la Fiorentina, recentemente ha provato lo sci ed è tornata entusiasta”.
    Che tipo di ragazza è, ce la puoi descrivere?“Fondamentalmente è una ragazza molto coordinata, potrebbe eccellere in qualsiasi sport visto le abilità di base che possiede. Non ha un gioco di potenza, ha molta mano e la considero – insieme ai tecnici di Formia che la seguono come ragazza di interesse nazionale – una tennista universale. A chi può assomigliare? Beh, per trovare una tennista che tutti conoscono potrei dire che ha un gioco un po’ alla Roberta Vinci, ma con qualcosa di Swiatek e perché no un po’ di Pennetta per la facilità con cui colpisce. Non è una che cerca di spaccare la palla con tutta la sua forza, tutt’altro, lei ama giocare lo slice, fare le palle corte, venire a rete, accelerare all’improvviso. Le piace tantissimo giocare gli “strettini” di tocco, ma sa anche tenere in difesa e soffrire da dietro, il tutto sempre eseguito con grande naturalezza. Questo è quel che spicca di più quando la vedi giocare, fa le cose in modo naturale, spontaneo, non c’è tensione o sforzo quando gioca. Intendiamo farla crescere così, senza specializzarla, seguendo anche le linee guida della FIT che parlano appunto di specializzazione non prima dei 17 anni”.
    Il fatto che lei guardi anche oltre al tennis e si interessi nelle cose è un fatto positivo, no?“È un fatto estremamente positivo, che condivido con lei, Tiziano e la sua famiglia. Proprio la famiglia è straordinaria (e non comune) perché asseconda i desideri della figlia, ascolta quel che lei pensa e lascia lavorare noi tecnici che stiamo guidando la sua crescita, dalla scelta dei tornei al modo e quantità di lavoro che facciamo ogni settimana. Se pensiamo che debba fermarsi per lavorare del tempo su qualche aspetto tecnico senza competere, la famiglia segue le nostre indicazioni. Agnese è ancora emotiva, un po’ chiusa, quindi con lei facciamo le cose a piccoli passi, stiamo molto attenti alla sua crescita, ma è evidente che si diverte tanto quando gioca. Si allena, si impegna, ma non la stiamo caricando di lavoro e di pressione eccessiva perché è una ragazzina che affronta le situazioni che le si presentano davanti con grande semplicità e vogliamo che continui così senza stress e ansie alla sua età”.
    Eppure sul web, soprattutto Instagram, ormai dilagano profili di ragazzini e ragazzine più piccole di lei che mostrano sessioni di allenamento, super colpi e un lavoro in campo degno di un Nadal…“È vero e ritengo che sia un’esagerazione, qualcosa che finisce per incrementare pressione e stress che, alla loro giovane età, non sono salutari. Mi piace invece vedere che quando Agnese entra in campo è felice, serena, pensa solo a giocare e divertirsi, pur con impegno e fatica. Purtroppo invece ai nostri giorni si guarda troppo a quel che si trova sui social, tutte storie straordinarie, fanno arrivare il messaggio che se non hai per le mani uno che a 16 anni è un fenomeno, un NextGen da paura, allora sei un fallito… Non è così! Quelli sono marziani, ne nasce uno ogni tanto, farlo capire a famiglia, circoli e volte anche a tecnici non è facile. Abbiamo davanti a noi dei ragazzi molto giovani, li dobbiamo crescere soprattutto come persone e se ci vai troppo pesante, rischi di far crollare tutto quel che hanno costruito. Abbiamo una responsabilità importante su di loro”.
    In molti affermano, scuola inclusa, che è sempre più difficile tenere alta l’attenzione nei ragazzi, soprattutto per colpa dell’eccesso della tecnologia, uso continuo degli smartphone, social, ecc. Visto che tu segui ragazzi di varie età, come vedi la questione, li trovi peggiorati negli ultimi anni da questo punto di vista?“È un argomento delicato. Quando sono arrivato al mio club attuale mi sono inserito in una struttura di discreta dimensione e con un buon bacino d’utenza. Da nuovo direttore, ho comunicato che ci tenevo a inserire delle piccole regole che secondo la mia esperienza prima da giocatore e poi da coach mi hanno aiutato, le reputo importanti. La prima cosa che vedi quando un ragazzo o ragazza arriva al club è che in mano non ha le scarpe, le racchette, ma il cellulare perché prima di entrare in campo o palestra è urgente mandare il messaggino, il social, la foto, ecc. A tutti coloro che hanno una buona qualità e stanno facendo un percorso di allenamento serio verso l’alto livello sto provando a far capire che quando arrivano al circolo il telefonino deve andare subito in borsa; che si deve arrivare almeno 15 minuti prima dell’inizio del lavoro, facendo il riscaldamento in autonomia seguendo i piani stabiliti; che si saluta sempre per primi il maestro, che ci si comporta all’interno della struttura con rispetto e presenza. Può sembrare una banalità, ma ti assicuro invece non lo è. Anche se solo vuoi fare dell’ottimo sport a livello regionale, devi mostrare impegno e focus, soprattutto per te stesso, perché è qualcosa che ti aiuta a crescere oltre il campo da gioco. È importante che i ragazzi capiscano la differenza tra l’apparenza e la sostanza. Quel che conta non è l’apparire, quella foto o quella giocata che mostri online, ma la sostanza, l’essere concreti e realizzare qualcosa di vero, che dura ed è tuo. Devono capire il valore del lavorare in campo con impegno e determinazione, l’andare a rincorrere una palla e salvarla anche se non conta o è fuori e ripartire subito, sono cose che dimostrano la tua voglia, l’impegno, il volerti dedicare a quel che fai, e oggettivamente è una qualità che nei ragazzi si trova di rado. Magari trovano delle scuse per non farlo… Devi fargli capire che ogni palla è un’occasione che serve a loro stessi. Quanto desiderio hai di colpire quella palla ancora una volta e farti valere? Lavorando su questi aspetti puoi cambiare la loro mentalità, si possono ottenere grandi risultati se riesci a farti ascoltare. E soprattutto, alla fine il risultato lo ottengono loro, perché sono loro che migliorano e crescono come tennisti e come persone. Chi riesce a capirlo non solo si applica di più e ottiene di più, ma si diverte di più, trova un focus superiore rispetto a prima. È bello e importante far capire che non sono gli 11 punti di fine allenamento che determinano se la sessione è andata bene o male, ma come l’hai affrontata e quanto ti sei speso: da come ti sei riscaldato a come hai seguito il programma. Noi tecnici cerchiamo di dare ai ragazzi, ma anche i ragazzi devono dare noi seguendoci e mettendoci impegno”.
    Parli di aspetti molto profondi, legati all’insegnamento e al concetto di miglioramento. Le difficoltà forse sono anche colpa della società in cui viviamo, dell’essere abituati all’avere tutto e subito, senza alcuna pazienza per completare un percorso necessario a crescere, magari sperando di diventare un ottimo giocatore?“Purtroppo il problema spesso deriva anche dai genitori, che magari a casa, al circolo col maestro sino a qualche piazzata davanti a tutti arrivano a dire ‘eh, ma io sto investendo su mio figlio…’. Ma che significa… si investe su di una casa, non su di un figlio! Reputo che a un figlio debba esser data un’opportunità di crescita, e poi se diventa un ottimo atleta abbiamo fatto centro. Ma se non lo diventa e ha fatto un percorso scegliendo le persone corrette che gli fanno capire che ci sono delle regole, dei compiti, un lavoro, un obiettivo, sicuramente col tempo e con il sacrificio qualcosa si ottiene sempre. Di sicuro da un punto di vista umano e personale, che è di pari o superiore importanza rispetto al lato sportivo”.
    Si torna al mantra di tanti coach: il talento da solo non basta“Ma alla fine, cos’è il talento? Non è solo saper giocare un diritto in scioltezza, un rovescio in salto… Il talento per me è qualcosa che hai dentro, è nella serietà di fare tutto al meglio ogni giorno, nello svolgere con costanza un’azione finché non diventa automatica con “impegno gratis”, come mi ha insegnato Sartori al corso da coach. Le sue parole mi sono restate dentro: se vedete dei ragazzi che danno impegno gratis, puntate su di loro, hanno talento”.
    In chiusura, pensi quindi che sia molto importante lavorare sulla testa dei ragazzi, fin da giovani, quanto nel gioco?“Assolutamente. L’ho visto anche nella competizione del Lemon Bowl di pochi giorni fa, con tanti ragazzi di talento ma con comportamenti esagerati o che alla lunga non fanno bene. Lavorare sul riconoscimento delle emozioni è importante, è una cosa che andremo ad affrontare anche con Agnese, insieme ad altri aspetti tecnici (il diritto per esempio). Fa bene la Federazione a puntare sulla figura del mental coach per i ragazzi che mostrano un certo talento e propensione alla crescita. Lavorare sulla testa dei giovani reputo sia fondamentale, allenare la mente è decisivo perché si tende ad essere stressati fin da piccoli, magari rincorrendo risultati o precocità”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Intervista a Filippo Volandri, il lavoro come Direttore tecnico al centro di Tirrenia, la giornata tipo dei ragazzi, il concetto di “sistema” (3a parte – di Marco Mazzoni)

    Filippo Volandri a Tirrenia

    Nella prima e nella seconda puntata dell’interessante intervista concessa da Filippo Volandri, Direttore tecnico del settore maschile della Federazione Italiana Tennis, si è parlato del suo ruolo e delle novità introdotte, con un focus sull’ausilio della tecnologia per capire come si è evoluto il tennis di vertice. La lunga chiacchierata arriva ad un punto cruciale: i ragazzi. Nella terza e ultima parte dell’intervista, Filippo ci parla di come si svolge il lavoro, la giornata tipo e il rapporto con i talenti azzurri, che a Tirrenia sono seguiti ed aiutati con grande attenzione sulla persona.

    Filippo, ringraziandoti ancora per l’intervista, facciamo un piccolo riepilogo del concetto di base. Oggi a Tirrenia il lavoro sui ragazzi si potrebbe riassumere come una supervisione molto attenta al giovane giocatore e alla persona, in totale collaborazione con i tecnici che vivono il quotidiano del tennista
    “Non bisogna dare indicazioni contraddittorie ai ragazzi, altrimenti si genera solo confusione. Mai prevaricare il ruolo del coach personale, che resta il punto di riferimento per ognuno di loro. Per ogni aspetto tecnico, tattico, di metodo e quant’altro serve sempre la condivisione di idee, linee guida e programmazione specifica con l’allenatore. L’obiettivo è lavorare in stretta sintonia. Questo richiede un lavoro enorme, che va ben oltre l’orario classico “8-20”. Si finisce per fare lunghe chiacchierate dopo cena con gli allenatori, o nel fine settimana. Poi spesso seguiamo le partite in streaming e magari sono di sera, la mole di lavoro è enorme quando vuoi svolgere al meglio il tuo ruolo. E anche la giornata dei ragazzi è davvero impegnativa, con orari ben scanditi”.

    Raccontaci proprio la giornata tipo di lavoro a Tirrenia
    “Si inizia alle 8.30 col lavoro in palestra e le varie routine. Chi fa atletica ha un paio d’ore di lavoro specifico, con le tabelle predisposte per ognuno di loro; quindi dalle 11 alle 13 si sta in campo per il lavoro tecnico e tattico. Si stacca per la pausa pranzo, un paio d’ore di riposo. Alle 15 si riparte, con un mix tra tennis in campo ed atletica a seconda dei vari programmi di lavoro personalizzati e l’obiettivo su cui ci focalizza in quel momento. Si sta in campo e palestra fino alle 18-18.30, a volte anche fino alle 19. Terminato il lavoro, i ragazzi che non studiano si riposano, cena e quindi tutti a nanna, mentre per i più piccoli c’è anche qualche ora di studio. La giornata è davvero piena”.

    Vista così, si potrebbe dire “tanta roba…”
    “Eh sì, è una giornata fitta, densa di impegni sia sul lato atletico, tecnico e mentale. Per questo mi piace esser chiaro: Tirrenia e il tennis Pro non è qualcosa di facile, non è per tutti. Bisogna accettare un percorso molto duro, i ragazzi devono essere disposti a questo tipo di vita. A volte mi chiedono: Filippo, tu quanti sacrifici hai fatto per arrivare tra i primi 20 giocatori del mondo? Rispondo che, in realtà, non ho fatto dei veri sacrifici perché non mi è mai pesato fare questo tipo di vita; piuttosto ho dovuto accettare molte rinunce rispetto alla vita dei miei coetanei. Da questo punto di vista, mi ritengo fortunato perché ero fin dall’inizio ben predisposto a quel che richiede la strada verso il tennis professionistico. A me non pesava più di tanto stare mesi lontano da casa ed allenarmi in campo ore ed ore tutti i giorni… sono sempre stato uno che se non giocava a tennis due volte al giorno “diventava matto”, il campo è il posto dove volevo stare. Quindi con me ha funzionato bene, ma non va così per tutti. Con altri ragazzi è necessario un approccio diverso, bisogna partire un po’ più da lontano cercando di convincerli che il metodo che adottiamo è la traduzione di quello che troveranno andando in campo da grandi. Non ci divertiamo a pungolarli insistendo su questi concetti, sull’importanza dell’etica del lavoro, della disciplina, della dedizione all’allenamento… Vogliamo prepararli al meglio a quel che dovranno affrontare una volta usciti dal Centro per farsi strada nel tennis Pro. Il concetto è che noi siamo come l’Università, li prepariamo al mondo del lavoro. Quando cammineranno con le proprie gambe, noi avremo compiuto il grosso del nostro lavoro. Forniamo loro il meglio come strumenti, esperienza e professionalità per renderli autonomi e fare la propria strada, possibilmente verso grandi risultati”.

    Sei un uomo di quasi 40 anni, con lunga esperienza in campo da giocatore e oggi con un ruolo importante come dirigente. Se riavvolgi il nastro della tua vita fino all’età in cui iniziavi a lavorare verso il tennis Pro, come ti rivedi e come trovi i ragazzi di oggi?
    “Sono molto molto diversi! Non è passato un secolo, ma la società è cambiata tantissimo, soprattutto grazie alla tecnologia. Quando avevamo la loro età non possedevamo uno smartphone, non esistevano i social network, si viveva in modo molto diverso. Parlo con i ragazzi, e cerco di fargli capire quanto siano fortunati a vivere in quest’epoca in cui possono sfruttare tecnologia e mezzi che noi nemmeno ci sognavamo. Quelli della mia generazione hanno vissuto esperienze differenti, noi ci arrampicavamo sugli alberi e facciamo fatica con i computer, mentre i giovani di oggi volano con la tecnologia ma se gli chiedi di salire sull’albero quasi non ce la fanno! Per andare sullo specifico, a differenza della mia generazione oggi è necessario lavorare tantissimo sul piano motorio, perché i ragazzi sono assai meno pronti a fare esercizio fisico, anche quello di base. La scuola inoltre non aiuta perché di fatto di esercizio se ne fa pochissimo… Quando arrivano i nuovi e li valuti, noti subito che spesso hanno delle lacune importanti e a volte c’è quasi da ricominciare da zero. Non è colpa loro ma del contesto sociale in cui sono cresciuti, per noi significa un lavoro in più, e di cruciale importanza anche se può sembrare banale. Poi i ragazzi sono molto indipendenti, ma non è sempre facile farsi ascoltare, per questo poter condividere dei momenti tutti insieme, come quello del pranzo o della cena, è importante per fare gruppo e conoscerli come persone”.

    Tornando all’organizzazione del Centro tecnico, qual è il rapporto tra tra base centrale e centri periferici, per capire il funzionamento e la gestione a livello di territorio?
    “Oggi a Tirrenia arrivano ragazzi under 18 salvo progetti speciali, come Musetti che è arrivato molto prima o Nardi a 16 anni. Cerchiamo di organizzarci per consentire ai ragazzi di crescere vicino alla famiglia in strutture che collaborano con la Federazione anche fino ai 16-17 anni, poi è il nostro compito “scegliere” quei progetti in cui valutiamo ci sia più potenziale. Le scelte fanno parte del nostro lavoro, è un compito per nulla facile, e accettiamo di aver sbagliato, di sbagliare oggi e che sbaglieremo in futuro, ma del resto è l’onere di un settore tecnico. La nostra non è una scienza esatta, di cose da imparare ne abbiamo tantissime. I ragazzi su cui ci focalizziamo restano da noi dai 17 anni finché non reputiamo che siano pronti per spiccare il volo nel mondo del lavoro, fino ai 23-24 anni. Dietro poi c’è tutta una struttura molto profonda, che parte dai CPA dei bambini al sabato e alla domenica, gli under 11 e 12, gli stage degli under 14 il cui responsabile è Michelangelo dell’Edera, insieme a tanti altri progetti per gli under 15 come “racchette di classe”, fondamentali nel percorso di crescita giovanile”.

    Se dovessi scegliere il prossimo passo, l’obiettivo che in questi primi quattro anni di lavoro ancora non hai raggiunto, quale sarebbe?
    “Non adagiarsi sugli allori. Col lavoro abbiamo portato una crescita davvero importante, che ci permette di avere molti giocatori tra i primi 200 del mondo, tra i primi 150 e anche 100 del ranking, addirittura due tra i primi 15. È stato fatto un lavoro strabiliante, con tante persone che hanno dato il proprio meglio. Ma oggi, seppur molto felici della situazione, siamo costretti a guardare al futuro perché tutto va velocissimo. Dobbiamo continuare a studiare e restare aggiornati, perché lo sport si evolve continuamente. Dobbiamo lavorare sulla pianificazione con i ragazzi più giovani, forti dei successi ottenuti con lo stimolo di migliorare ancora. Il tennis è uno sport individuale, ma il “sistema” conta più di quel che si possa credere, come lo stimolo tra giocatori che si tirano l’un altro. Anni fa, quando toccai il mio massimo tra i primi 30, non fu un caso che anche Potito Starace visse il suo periodo migliore. Oggi non è un caso che Fognini vinca Monte Carlo e che Berrettini, Sonego e anche gli altri abbiano fatto un salto. Così vale per la base dei ragazzi, la crescita come sistema e la sana competizione è un valore aggiunto importantissimo per tutti. A questo ha contribuito il lavoro ed investimento portato avanti per anni a livello federale sui tornei in Italia: tantissimi Futures maschili e femminili e quasi un Challenger a settimana da aprile a novembre, eventi sostenuti dalla FIT e fondamentali alla crescita del movimento nazionale. Per i più giovani avere in casa tutta quella serie di tornei è importantissimo, ci permette di far giocare e far crescere una base di tennisti”.

    Ricordo l’estate scorsa, quando al lancio dei nuovi tornei Challenger in USA col supporto di Oracle, Jim Courier disse senza mezzi termini “stiamo studiando il modello Italia, che ha portato grandi risultati”.
    “Esatto, Jim conosce bene Lorenzo Beltrame avendoci lavorato insieme, hanno parlato spesso di come si lavora qua. Ma non è il solo: per esempio sono stato interpellato dalla stampa spagnola, incuriosita dalla crescita del nostro movimento e dai risultati ottenuti, e dall’America Latina. Anche dalla Francia hanno chiesto informazioni, e loro hanno da sempre uno dei movimenti più efficienti. Avere tanti tornei in Italia aiuta moltissimo, insieme alla nuova filosofia di collaborazione con le strutture private”.

    Ma la speranza di avere qualche torneo “grande” in più?
    “Vorremmo averli, sarebbe un altro passo verso la crescita generale di tutto il sistema Italia, senza dimenticarci della straordinaria opportunità delle ATP Finals a Torino dall’anno prossimo. La Federazione si sta muovendo in tal senso, ma serve lavoro e pazienza perché il calendario è complicato, senza contare i problemi della situazione attuale…”.

    Concludendo, la chiave per il successo del tuo lavoro è stata la visione, la capacità delle persone ma soprattutto quella di esser riusciti a creare un sistema?
    “Assolutamente, Volandri non ha la bacchetta magica. Abbiamo lavorato tanto, formando un gruppo di collaboratori che è stato decisivo in tutti gli aspetti del progetto. Non voglio fare nomi perché sono tutti, dal primo all’ultimo, importanti. Come è stato fondamentale il Consiglio federale che fin dal primo giorno mi ha dato fiducia e lasciato lavorare con grande libertà. Ho sempre avuto la possibilità di scelta e questo, quando hai un ruolo di responsabilità, è importante perché ti spinge a dare il massimo sentendo il supporto e la fiducia intorno a te. Ovviamente abbiamo un budget da rispettare, ma a livello di scelte operative mi hanno sempre sostenuto e mai prevaricato. Non è un lavoro facile, non abbiamo orari ed enormi responsabilità, ma visti i risultati sono e siamo molto soddisfatti. Il futuro? Come dicevo prima, c’è “da continuare a pedalare”, lavorare tutti insieme, collaborare tra privati e struttura tecnica per il bene del movimento; guardare avanti con ambizione e voglia di imparare. Mai stare fermi, mai sedersi sui risultati raggiunti”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Open Court: i Challenger stanno già “stretti” a Sinner? La capacità di apprendimento di Jannik (di Marco Mazzoni)

    La domanda del titolo è una piccola provocazione. L’ascesa di Jannik Sinner è talmente prorompente da spingerci a sognare, visto il livello tecnico ed agonistico del nostro fenomenale atleta. Chi era a Milano alle NextGen Finals ha potuto vedere, letteralmente giorno dopo giorno, come il tennis di Jannik migliora di partita in partita. Una delle […] LEGGI TUTTO