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    L’importanza dei nuovi Challenger in America Latina: i numeri

    Juan Manuel Cerundolo, due vittorie nel 2023

    Questa settimana è in programma a Cordoba in Argentina un ATP 250 e un dato è balzato ai nostri occhi: ben dodici dei tennisti presenti nel main draw del suddetto 250, nel 2022 hanno preso parte al circuito “Dove Men + Care Legiòn Sudamericana”, il tour di 36 tornei (fra Challenger e ITF) che rappresenta una vera e propria officina e rampa di lancio per i tennisti sudamericani.
    Ideato e realizzato per iniziativa dell’ex giocatore Horacio De La Pena nel 2021 per ovviare alla carenza nel continente di tornei che potessero permettere ai giovani tennisti di accumulare esperienza e punti ATP, il progetto “Legiòn Sudamericana” ha già dato dopo due anni buonissimi risultati. Guardiamo un po’ di numeri: nel 2021 si sono disputati 20 tornei Challenger in Sud America e i successi dei giocatori “di casa” sono stati 17 così divisi per nazioni:
    Argentina – 9 titoliCile – 3 titoliBolivia – 2 titoliBrasile, Ecuador, Perù – 1 titolo
    A farla da padrone fra i giocatori è stato invece Sebastian Baez vincitore di 6 Challenger, seguito a debita distanza, da Juan Manuel Cerundolo con tre titoli. Se a questo aggiungiamo che in ben 16 occasioni un giocatore sudamericano ha perso in finale, ben si comprende il peso avuto da questi tornei per la crescita del tennis della Legiòn.
    Passando al 2022 i numeri sono stati i seguenti: su 33 tornei disputati in 22 occasioni la vittoria è andata a un tennista sudamericano. Per 17 volte ha trionfato un argentino, mentre una vittoria a testa hanno totalizzato Brasile, Ecuador, Bolivia, Colombia e Perù. Rispetto alla scorsa stagione si possono notare due differenze. La prima è legata al ridursi dell’emergenza Covid che ha facilitato la partecipazione ai tornei della Legion Sudamericana ai tennisti europei che, infatti, hanno portato a casa 11 titoli (3 per Svizzera e Inghilterra, 2 per la Germania e uno a testa per Spagna, Portogallo e Italia). E l’altra differenza riguarda il dominio argentino: non ci sono stati i cannibali di turno (come nel 2021 lo erano stati Baez e Cerundolo) e le vittorie sono così state spalmate su ben 13 giocatori, a testimonianza dello stato di buonissima salute del movimento argentino.
    Stato di salute del resto confermato dall’inizio della stagione 2023 della Legion Sudamericana con i primi quattro tornei vinti da tre argentini, Juan Manuel Cerundolo (due titoli), Federico Coria e Andrea Collarini.
    Guardando la classifica ATP, però, un paio di considerazioni vanno fatte: a causa del periodo di crisi di Schwartzman e dei limiti di Baez e Cerundolo, al momento non c’è un giocatore sudamericano fra i primi trenta giocatori del mondo. Dei sette giocatori argentini presenti nella top 100 solo due hanno meno di 24 anni, Baez ed Etcheverry. E se prendiamo in considerazione gli altri quattro sudamericani che hanno un posto fra i primi 100 giocatori del mondo, Monteiro, Galan, Varillas e Gomez, la media dell’età si aggira intorno ai ventotto anni.
    Bene, ma non benissimo, direbbe il grande Flavio Tranquillo, anche se i prospetti che stanno venendo su fanno comunque ben sperare il Sud America. Fra i primi 1000 del mondo vi sono una serie di intriganti under 20:
    Gonzalo Bueno (Perù – 18 anni – 551 ranking ATP)Daniel Vallejo (Paraguay – 18 anni – 697 ranking ATP)Ignacio Buse (Perù – 18 anni – 699 ranking ATP),Lautaro Midon (Argentina – 18 anni – 785 ranking ATP)Emanuel Ambrogi (Argentina – 19 anni – 799 ranking ATP)Victor Couto Loreiro (Brasile – 19 anni – 813 ranking ATP)Joao Fonseca (Brasile- 16 anni – 830 rankig ATP)Juan Carlo Prado Angelo (Bolivia – 17 anni – 831 ranking ATP)
    Una cosa è certa: le nuove leve del tennis sudamericano tenteranno di scalare il ranking, facendosi le ossa in quel vero e proprio scrigno di occasioni rappresentato dal circuito “Dove Men + Care Legiòn Sudamericana”.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Umarell: lavori in corso dei giovani campioni e finalisti Slam 2022

    Jacub Mensik

    Nel percorso di crescita di un giovane tennista le variabili sono tali e tante che poche cose sono meno preventivabili della futura carriera dei protagonisti degli Slam juniores. Basterebbe chiedere a Omar Jasika, l’australiano che nel 2014 trionfò a New York conquistando il titolo degli US Open e che sul finire del 2017 venne trovato positivo alla cocaina e quindi squalificato per due anni, compromettendo una carriera che comunque stentava a decollare. Torniamo però ad anni più recenti e diamo un’occhiata ai primi passi nel circuito ATP dei vincitori e dei finalisti degli Slam nella stagione 2022. Come dei veri Umarell ci aggireremo “attorno ai cantieri” di questi tennisti, per verificare a quale punto della propria costruzione si trovano.(La scala di valutazione Umarell che adotteremo in questo articolo va dal piano 1 al piano 11, dove uno sta per pianterreno e 11 per terrazzo).

    Bruno Kuzuhara: il detentore del titolo degli Australian Open è attualmente il numero 631 del mondo. I suoi risultati migliori sono arrivati nei tornei ITF giocati ad Antalya in Turchia: due semifinali nella prima parte dell’anno e poi due finali sul finire della stagione. Kuzuhara ha avuto anche un paio di occasioni per misurarsi con i giocatori del circuito maggiore: nel primo turno delle qualificazioni dell’ATP di Atlanta è infatti arrivato ad un passo dalla vittoria contro Steve Johnson, mentre nel tabellone di qualificazioni degli US Open ha battuto l’indiano Ramanathan prima di cedere nettamente a Flavio Cobolli. Un’annata, quella scorsa, non proprio esaltante per lo statunitense nato in Brasile e il nuovo anno non sembra essere cominciato nel migliore dei modi visto il pesante 6-1 6-0 subito per mano di Michael Mmoh nel primo turno delle qualificazioni degli Australian Open. Kuzuhara ha una bella mano, notevoli doti anticipo e due piedi superveloci, ma la sua palla temo sia ancora troppo leggera per ambire a un salto di livello. Credo che la terra battuta sia la superficie su cui, almeno al momento, potrà ottenere i migliori risultati per salire in classifica.Scala di valutazione Umarell: quinto piano

    Jacub Mensik: il finalista degli Australian Open ha da subito cominciato a vincere tante partite nel circuito maggiore (ovviamente quello ITF), con una notevole continuità di rendimento testimoniata da quattro quarti di finale e due semifinali raggiunte nel corso dell’anno. Non sono mancati i picchi di rendimento, però, come testimonia il titolo vinto a Allershausen a Settembre e soprattutto l’incredibile finale di stagione con tre ITF consecutivi vinti a Heraklion (1) e Sharm El Sheik (2) che lo hanno portato a ridosso dei primi 400 giocatori del mondo. Il 2023 è cominciato con un Challenger, quello di Nonthaburi, dove Mensik ha perso al primo turno delle qualificazioni, con una certa dose di rimpianti, contro Lucas Pouille. In certi aspetti del gioco Mensik mi ricorda tanto Karen Khachanov, ma alcuni attacchi con il rovescio in back messi in mostra contro Pouille mostrano che il percorso di crescita del ceco è ben indirizzato per provare a renderlo un giocatore in grado di trovarsi a suo agio in ogni zona del campo.Scala di valutazione Umarell: settimo piano quasi completato.

    Gabriel Debru: il vincitore del Roland Garros si trova attualmente al numero 573 del mondo. Fino al trionfo a Parigi la stagione del transalpino era stata abbastanza anonima con un quarto di finale raggiunto ad Antalya, le quali superate nel Challenger di Aix En Provence e una buona prestazione contro Bonzi al primo turno dello stesso torneo. A giugno è poi arrivato lo slam conquistato in patria e Debru ha trovato maggiore continuità di risultati nel resto della stagione: semifinale a Gubbio, un paio di quarti di finale e due primi turni superati nei Challenger di Cassis e Rennes. Dopo quasi cinquanta partite giocate nel corso dell’anno Debru ha pagato un po’ la fatica chiudendo il 2022 con tre sconfitte consecutive a livello Challenger; ma dopo aver ricaricato le pile, il francese ha raggiunto a Oeiras, nel primo torneo del 2023, il miglior risultato della sua embrionale carriera: un quarto di finale Challenger ottenuto grazie alle vittorie importanti perché sofferte contro Valkusz e Ejupovic, prima di venire sconfitto nettamente da Cem Ilkel. Il tennis difficile e brillante di Debru avrà probabilmente bisogno di tempo per far sì che tutti i pezzi del puzzle finiscano nel posto giusto: Gabriel ama giocare con i piedi vicini alla riga di fondo ed è in grado di produrre gioco e vincenti soprattutto con il rovescio. Utilizza d’istinto schemi ormai in disuso come la discesa a rete direttamente sulla seconda dell’avversario. Ed è proprio questo suo tennis istintivo il suo marchio di fabbrica. Adesso è indispensabile rendere più efficace quel dritto un po’ scomposto per poter dare sostanza ed equilibrio al gioco del francesino che non a caso stravede per Karatsev.Scala di valutazione Umarell: sesto piano

    Gilles Arnaud Bailly: finalista sia a Parigi che agli US Open, il belga ha scelto di ridurre al minimo le sue apparizioni nel circuito ATP. Ha giocato infatti soltanto cinque ITF e un ATP 250, quello di Anversa. Ed è stato proprio in occasione del torneo di Anversa che Bailly ha mostrato il suo talento al mondo mettendo alle strette l’ex top ten David Goffin. Una partita tiratissima in cui si è avuta la sensazione di assistere alla sfida fra Goffin e una sua evoluzione 2.0. Il tennis di Bailly è lineare, geometrico, cerebrale. Un tennis in sostanza goffinesco. Aldilà di questa vetrina d’eccezione ad Anversa, non sono mancati i risultati di Bailly nei pochi ITF giocati. Quattro sono stati i quarti di finale raggiunti da Gilles che però non gli hanno permesso, per un soffio, di entrare fra i prime mille giocatori del mondo. Poco male. Bailly sembra un ragazzo che non conosce la fretta.Scala di valutazione Umarell: quarto piano

    Mili Poljicak: il vincitore di Wimbledon non si è risparmiato nella stagione appena trascorsa. Ha giocato 13 tornei ITF, 6 tornei Challenger e un ATP 250 a Umago. Il croato con il viso da bambinone alla Krajicek si è issato intorno alla 500esima posizione mondiale, in virtù soprattutto dell’exploit nel Challenger di Zagabria dove ha raggiunto la semifinale partendo dalle qualificazioni (battendo gente come Zhang, Gaio, Basic e Gimeno Valer). A livello ITF i migliori risultati sono stati la semifinale a Sheffield e quella appena raggiunta a Monastir. Il suo è un tennis contraddistinto da una potenza devastante dei colpi unita a una buonissima mano quando riesce a entrare dentro al campo. L’incognita piuttosto evidente è invece la mobilità e la copertura del campo, visto che Poljicak, per struttura fisica, sembra condannato a dover comandare lo scambio se vuole portare a casa il punto. Di certo, come ha già dimostrato, per la pesantezza di palla è già pronto per provare a competere nei Challenger, potendo in questo modo migliorare la sua classifica grazie ad un paio di buoni tornei.Scala di valutazione Umarell: sesto piano

    Michael Zheng: il finalista di Wimbledon si è diviso per tutta la stagione fra l’attività juniores e il circuito ITF. Il miglior risultato è stata la finale raggiunta in aprile a Orange Park, partendo dalle qualificazioni e perdendo in finale contro Yibing Wu con il punteggio di 7-6 7-5. Grazie a questo exploit Zheng è entrato fra i primi 900 del mondo. Da questa posizione partirà dunque la stagione 2023 dello statunitense che anche quest’anno non giocherà a tempo pieno nel circuito professionistico, visto che disputerà il campionato NCAA con i Columbia Lions. Zheng è al momento un magnifico, ma acerbo produttore di gioco (proprio per la sua facilità può ricordare il miglior Tomic): gran servizio, propensione a cercare la rete con una leggerezza che sa di classico, capacità di giocare vincenti con apparente facilità da tutte le parti del campo con colpi “puliti” e penetranti. Manca ancora, come è normale che sia per questo tipo di tennista, della continuità di gioco e della consistenza che gli possano permettere di portare a casa le partite con una certa costanza. Vedremo nel 2023 se la splendida facilità di gioco di Zheng comincerà a fondersi con una consistenza da giocatore ATP.Scala di valutazione Umarell: quarto piano

    Martin Landaluce: c’è ancora ben poco da dire sul vincitore degli US Open. Lo spagnolo è un prospetto di 17 anni abbastanza clamoroso più per doti fisiche che tecniche (al momento), ma non ha ancora una classifica ATP avendo giocato solo un Challenger e un ATP 250 dove ha rimediato due nette sconfitte. Nel 2023 cosa sarà in grado di fare?Scala di valutazione Umarell: terzo piano

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Tibo Colson, credere nel “processo”

    Tibo Colson (foto Leo Stolck)

    “How much of the process can you endure without receiving the product? I think you’d have to define your interpretation of ‘the product’ before you answer that”.
    Un giorno lessi queste parole sul profilo Instagram del tennista americano Patrick Kypson e si rivelarono per me una vera folgorazione.Il processo di cui scrive Kypson è una metafora per indicare la carriera di un tennista, mentre il prodotto della carriera di un tennista è… Qui la faccenda decisamente si complica. Cosa è questo prodotto? Cosa c’è oltre la fama, le tv, i punti ATP, i successi, i predestinati e il denaro?Quali storie, battaglie e conquiste personali ci sono dietro i tennisti del sommerso del circuito professionistico? Quanto rispetto e quanto interesse merita la loro carriera da guerrieri solitari quasi donchisciotteschi (e fenomeni della racchetta in giro per il mondo? E come provare a dare loro identità e spessore se non attraverso le loro storie?Eccone appunto una.
    Il belga Tibo Colson ha 22 anni ed è un tennista professionista attualmente posizionato alla 667esima posizione mondiale. Ho scoperto Tibo in occasione di uno degli ultimi ITF dell’anno a Trnava in Slovacchia, torneo dove ha raggiunto la semifinale per poi essere sconfitto dalla promessa spagnola Daniel Rincon. Giocatore aggressivo, Colson, un produttore di gioco che per certi versi mi ha ricordato per tipologia di gioco Lucas Pouille, ma con una maggiore incisività nel servizio.Il 2022 è stato il primo anno della sua carriera in cui ha potuto giocare con una certa continuità, soprattutto a partire da maggio. Continuità che gli ha permesso di risalire la classifica grazie alla vittoria di un ITF in Monzambico, alla suddetta semifinale di Trnava e a tre quarti di finale. E prima del 2022?
    Nel 2017 Colson deve abbandonare la carriera junior. Le sue ginocchia, infatti, sono paragonabili a quelle del 32enne Nadal (secondo uno specialista anzi sono in condizioni anche peggiori). Nel 2018 l’intervento chirurgico è inevitabile. Occorrono quasi due anni per superare una lenta e problematica ripresa, ma finalmente nel 2020 Colson è pronto a giocare la sua prima partita (peraltro vinta) nel circuito professionistico in un ITF a Monastir. Il covid frena però il suo rientro e durante l’anno giocherà solo un altro torneo. Il 2021 non comincia nel migliore dei modi, il dolore alle ginocchia continua e Tibo è in grado di giocare solo quattro tornei e si fa strada il timore di dover ricorrere ad un intervento ad entrambe le ginocchia. In agosto però le cose cominciano ad andare meglio. Pur potendosi allenare al massimo cinque volte a settimana, Colson disputa sino alla fine dell’anno undici tornei a livello ITF, con un record di undici vittorie e undici sconfitte.Arriviamo così al 2022 anno in cui, come dicevamo, Tibo Colson ha raggiunto il suo best ranking ed ha assicurato nuove prospettive alla stagione che sta per cominciare.
    Un paio di giorni fa ho fatto alcune domande a Tibo prima della sua partenza per Doha, dove giocherà il primo torneo della stagione. Ovviamente il suo principale proposito per il nuovo anno è di star bene e di essere in grado di giocare ogni settimana al massimo dell’intensità. Ha aggiunto che appena possibile proverà a giocare i tornei Challenger perché è convinto di esprimersi al meglio contro avversari di livello superiore.Gli ho chiesto cosa ha pensato subito dopo aver vinto l’ITF di Maputo, la sua risposta è stata tutt’altro che banale: “Alla fine è stato un piccolo sospiro di sollievo, ma non è durato molto. Ho dovuto giocare l’intero torneo assumendo antidolorifici. Avrei preferito giocare senza dolore piuttosto che vincere il torneo”.
    Ecco che tornano a frullarmi per la testa le parole di Patrick Kypson sul “processo” e sul “prodotto”, e mi accingo a seguire il “processo” di Tibo Colson perché anche se probabilmente non giocherà uno Slam quest’anno, la sua battaglia personale fatta di tenacia, resilienza e passione per il gioco mi appassiona come poche altre cose nel circuito.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    ATP Challenger 2023: otto tennisti da seguire

    Zachary Svajda

    Arriva un nuovo anno e sono otto i tennisti del mio taccuino che terrò particolarmente d’occhio fra speranza e curiosità. Cinque per gioventù. Due perché hanno il tennis e, probabilmente, anche la maturità per puntare alla top 100. L’ultimo perché è un personalissimo guilty pleasure.

    I cinque giovani prospetti da tenere d’occhio:
    Zachary Svajda: mio pallino personale. Statunitense, 20 anni, numero 301 del mondo. Fisico da impiegato, doti di anticipo sulla palla fuori dal comune. Storia particolare la sua, come la sua sensibilità umana. A undici anni dice ai genitori che non vuole più giocare tornei under per dedicarsi esclusivamente all’allenamento. Poi a 17 anni vince i campionati nazionali under 18 e, insieme al titolo, anche una wild card per il tabellone principale degli Us Open, torneo dove porterà al quinto set il nostro Lorenzi. Due anni dopo sempre agli Us Open batte Cecchinato e impegna strenuamente Sinner. Sembra un talento pronto ad esplodere… E quest’anno, in estate, dopo il trionfo nel challenger di Tiburon, sconfiggendo Ben Shelton in finale, Svajda sembra aver raggiunto la maturità tennistica per cominciare la corsa ai top 100. E invece…. Zachary nelle settimane successive inanella una serie di sconfitte e, soprattutto prestazioni, abbastanza sconcertanti, frutto di una mente brillante, ma probabilmente anche problematica. Sarebbe davvero un bene per il tennis muscolare dei giorni nostri l’emergere della leggerezza di Svajda. La sua stupefacente facilità di gioco meriterebbe davvero ben altri palcoscenici.
    Ethan Quinn: diciotto anni e mezzo e nuova promessa del tennis statunitense. Primo nella classifica di fine anno della ITA Collegiate Tennis Rankings (pur essendo una matricola) e numero 454 del ranking ATP. Giocatore dallo splendido tennis, capace di far tutto in campo. Vincitore quest’anno di due ITF a San Diego e Champaign e già in grado di portare al terzo set buoni giocatori come Del Bonis, Thompson e Kovacevic. Anche nel 2023 dividerà la sua attività fra circuito professionistico e carriera universitaria, ma nutro molti dubbi che nel 2024 sarà lo stesso. Il circuito ATP lo attende. Sono convinto che Ethan ci farà divertire.
    Abedallah Shelbayh: diciannovenne giordano, numero 470 del ranking ATP. Ha vinto tre ITF quest’anno e raggiunto una semifinale nel challenger di Mallorca, torneo in cui ha battuto Dominic Stricker. Mallorca è anche il luogo, con più precisione l’Accademia di Rafa Nadal, che Shelbayh da adolescente ha scelto come centro di allenamento, grazie al sostegno nientemeno che della principessa della Giordania. Nel 2021 ha giocato il campionato NCAA per i Gators della Florida, ma pochi giorni fa ha deciso di dedicarsi a tempo pieno all’attività nel circuito professionistico. Giocatore dal rovescio quasi nalbandiano, ricorda come stile di gioco Holger Rune per geometrie e velocità di piedi. Credo di poter azzardare che diventerà il giocatore più forte della storia della Giordania…
    Macs Kasnikowsky: diciannovenne polacco che ha chiuso l’anno al numero 385 del mondo. Il suo 2022 ha avuto una svolta in estate e in ottobre con alcuni ottimi risultati in tornei ITF fra Polonia, Estonia e Bulgaria. Tale svolta si è poi consolidata in novembre con una tournèe canadese di challenger che ha portato in dote una semifinale e un secondo turno, in entrambi i casi provenendo dalle qualificazioni. Kasnikowski è un contrattaccante da fondo dotato di poca potenza, ma con solidi fondamentali, lucidità tattica e attitudine da lottatore. Uno che sa come si vincono le partite.
    Jonas Forejtek: ventunenne ceco, numero 263 del ranking ATP. Sarebbe bello se il percorso di sviluppo di un tennista fosse una strada in discesa, magari con qualche curva invece di essere in realtà un percorso pieno di passaggi a livello e salite ripide. Così è stato per Jonas Forejtek che dopo aver vinto nel 2019 gli Us Open juniores battendo fra gli altri Nardi e Nakashima, si ritrova da un anno e mezzo un po’ impantanato fra la duecentesima e la trecentesima posizione mondiale. Fra i suoi migliori risultati ci sono due semifinali challenger e un exploit, la vittoria contro Marin Cilic nel 250 di Sofia. Il tennis di Forejtek rientra nei canoni della migliore scuola ceca, solidità da fondo (soprattutto con lo splendido rovescio bimane, meno con il dritto un po’ alla Gulbis) e ottimi colpi di inizio gioco, ma i risultati stentano ad arrivare. Nel 2022 dopo una buona prima parte di stagione ha inanellato un record di 5 vittorie e 12 sconfitte a livello di tornei challenger e quali degli slam. Ancora troppi alti e bassi nel suo gioco. La parola d’ordine per il 2023 è allora trovare un maggiore equilibrio nel suo tennis. Le vittorie arriveranno di conseguenza.

    I due ventiquattrenni forse pronti alla svolta:
    Yosuke Watanuke: ventiquattrenne giapponese numero 145 del mondo. Giocatore di culto capace di giocare un tennis straordinario. Molto discontinuo purtroppo e piuttosto incline agli infortuni, almeno fino al novembre di quest’anno, momento in cui Watanuke sembra aver trovato la quadra del suo gioco a livello challenger. I risultati parlano chiaro: finale a Yokohama, successi a Kobe e Yokkaichi con conseguente best ranking raggiunto nel giro di poche settimane. Sarebbe fantastico se Watanuke riuscisse a ripercorrere lo stesso percorso del suo connazionale Nishioka che proprio intorno ai ventiquattro anni ha dato una svolta alla sua carriera. Stagione quindi fondamentale quella che sta per arrivare per Yosuki che insieme al fratello coach ed ex-giocatore Yusuki, proverà a mettere ordine nel suo potenzialmente straordinario tennis. Se fosse un cartone animato il titolo potrebbe essere Yosuki & Yusuki alla conquista dei top 100.
    Aleksandar Kovacevic ventiquattrenne statunitense numero 158 nel ranking ATP. Bel talentino quello di Aleks, ma a frenare la sua carriera c’è stata finora una certa volubilità mentale che mi piace ricondurre alle sue origini slave. Ha sprecato tante occasioni Kovacevic: nel 2021 nel turno decisivo delle quali dell’Us Open contro Trungelliti, perde una partita incredibile sprecando otto match-point, quest’anno nel challenger di Indianapolis in finale contro Yibing Wu arriva un’altra sconfitta incredibile dopo aver avuto sei match point. Due possibili punti di svolta della propria carriera svaniti in un festival di rimpianti. Nonostante queste sventure tennistiche, Kovacevic ha raggiunto sul finire di questo 2022 il suo best ranking, grazie soprattutto all’incredibile semifinale raggiunta da lucky-loser nell’ATP 250 di Seoul, torneo dove lo statunitense ha messo in mostra il meglio del suo repertorio: ottimo servizio, propensione offensiva, dritto solido e rovescio monomane con cui è in grado di trovare angoli impossibili. Seoul resterà un exploit nella carriera di Aleks? O riuscirà invece a trovare continuità di gioco e soprattutto capacità di lottare in campo e vincere partite anche non giocando al meglio? Credo sia questa una delle risposte che potrà dare il 2023 di Kovacevic.

    Il guilty pleasure:
    Alafia Ayeni: ventitreenne statunitense, numero 432 del mondo. Ho scoperto in una mite serata di agosto questo ragazzone di Walnut Creek impegnato nel challenger di Lexington. In pratica un giocatore da NBA piazzato su un campo da tennis, con il suo serve & volley del tutto personale caratterizzato da volèe più che colpite quasi spinte per inerzia e con il suo gioco da fondo impaziente e un po’ casuale. Un mostro di atletismo e potenza con una tecnica da affinare. Nel 2022 i risultati non sono mancati peraltro. Ha cominciato la stagione intorno alla novecentesima posizione e grazie a ben sette tabelloni quali challenger superate su sette, ai quarti di Winnipeg e alla semifinale di Lexington ha raggiunto l’obiettivo di entrare in top 500. Anche a livello di college ha disputato una gran stagione con Cornell University chiudendo con un record di 19 vittorie e sei sconfitte. Dal 2023 giocherà il suo ultimo anno di college a Kentucky University e se continuerà a mostrare i progressi messi in evidenza nella seconda parte dell’anno, credo che fra le pieghe della stagione Alafia troverà un posto per sé.

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    Un viaggio nell’universo del tennis nei college USA

    Beh Shelton

    C’è un universo parallelo a quello del circuito professionistico ed è l’universo del tennis dei college a stelle e strisce. Ogni anno centinaia di giovani tennisti da tutte le parti del mondo scelgono di intraprendere questa avventura che garantisce la possibilità di conciliare tennis ad alto livello e un percorso di studi universitario. A questo proposito è interessante constatare che negli ultimi anni la forbice fra i tennisti statunitensi e quelli “International” reclutati dai college si sia allargata a vantaggio dei secondi (nella divisione principale queste le percentuali: 37% contro 63%).
    Il sistema del tennis collegiale è piuttosto elaborato. Ci sono tre Division (I-II-III) e per ogni division tornei e campionati organizzati dall’ITA (Intercollegiate Tennis Association) e dalla NCAA (National Collegiate Athletic Association). I primi sono fondamentalmente concentrati nel periodo invernale e subiscono spesso la mancanza dei giocatori più forti, mentre la NCAA è l’evento primaverile per eccellenza dello sport statunitense.
    Il torneo individuale più importante è proprio quello NCAA che prevede per il vincitore una wild-card per il tabellone principale degli US Open, come sa bene Ben Shelton che quest’anno ha conquistato il titolo a spese del danese August Holmgren.
    I campionati a squadre fra college si disputano invece con una formula, a mio avviso, interessante. Si comincia con tre doppi in contemporanea di un set ciascuno. Il college che si aggiudica due doppi su tre si porta a casa il primo punto della sfida. Quindi si passa ai singolari. Scendono in campo contemporaneamente sei singolari e ovviamente ogni singolare vale un punto. Il college che complessivamente conquista quattro punti si porta a casa l’incontro. Ogni partita si gioca con la regola del No Adv sulla parità.
    La fase conclusiva del campionato NCAA è strutturata allo stesso modo della March Madness del basket collegiale ovvero un tabellone a 64 squadre per delineare le quattro semifinaliste che avranno diritto a giocare la Final Four. Quest’anno a trionfare è stata l’università della Virginia che ha battuto per 4-0 Kentucky con le vittorie in singolare di Inaki Montes, Gianni Ross e dell’ex giocatore ATP il ventottenne israeliano Bar Botzer.
    Una peculiarità dei campionati universitari nelle sfide a eliminazione diretta è il clinch/clinch ovvero nel momento in cui una delle due squadre vince il quarto punto, i singolari non conclusi (ricordo che cominciano in contemporanea) vengono interrotti ed è tipico quindi vedere i giocatori appartenenti alla squadra vincente (e qualche secondo prima impegnati nelle loro partite), lanciare le racchette per aria e correre a festeggiare il compagno che ha conquistato il punto decisivo, in rispetto della legge non scritta secondo la quale il proprio college conta più del proprio nome.
    All’inizio dell’articolo scrivevamo che il tennis professionistico e quello collegiale sono due universi paralleli, ma ovviamente quasi tutti i tennisti universitari coltivano il sogno del circuito ATP da inseguire o dopo aver completato il percorso di studi o in anticipo quando il proprio livello di gioco è tale da “costringere” a un cambio di programma in corsa. Come nel caso di Ben Shelton, di cui scrivevamo sopra, ventenne di Atlanta che in questa stagione è riuscito a raggiungere un doppio traguardo storico (l’ultimo a riuscirci prima di lui era stato Tim Mayotte nel 1981): diventare campione NCAA e conquistare la top 100 nell’arco di una stagione. Inevitabile quindi per lui la scelta di passare al professionismo a partire dal 2023 e abbandonare la carriera universitaria. Stessa decisione presa un paio di giorni fa dal prospetto di grande interesse Gabriel Diallo, canadese, ventuno anni, numero 229 del mondo.
    Shelton e Diallo si uniranno così alla schiera dei giocatori del circuito in uscita dai college negli ultimi anni. Nessun grande nome, ma numerosi buoni giocatori: Arthur Ryndernech, J.J. Wolf, Nuno Borges, Aleks Kovacevic, Borna Gojo, Alex Ritschard, Rinky Hijikata per considerare solo i top 200.

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO