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14 Luglio 2019, Il giorno in cui il tennis morì

Pubblichiamo con piacere un articolo inviato da un utente di Live Tennis. E’ uno suo parere personale e non è ovviamente un pensiero della redazione. Nelle prossime settimane poi ci saranno altri articoli di utenti per far si che anche voi possiate essere i veri protagonisti del sito. Buona Lettura!

GOAT, Greatest Of All Time.
In italiano, il migliore di tutti I tempi. Una diabolica invenzione giornalistica coniata per lo sport, ma ormai trascesa inevitabilmente in tutti i campi della vita.
Un’ invenzione perché un “migliore di tempi”, essendo i tempi per loro natura mutevoli, non può esistere. Diabolica perché è perfettamente riuscita nell’ intento di creare tra gli appassionati di sport, quelle aspre discussioni e polemiche che sono la linfa vitale dell’avaro giornalismo moderno, pieno di marketing e povero di contenuti.

Ma lo sport per il quale è stato coniata per la prima volta questa espressione è il tennis.
E non è un caso, visto che in quest’ epoca di potenziali GOAT ce ne sono ben tre: Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Sono quelli che hanno vinto più slam di tutti, 20 a testa, quelli che hanno vinto più tornei, quelli che sono stati per il maggior numero di settimane in cima alla classifica mondiale. Di questi tre, quello che, numeri alla mano sta dimostrando di essere il più forte è Djokovic. A breve vincerà il suo ventunesimo titolo, scavalcando i due rivali, e completerà il grande slam, impresa riuscita l’ultima volta a Rod Laver, ben 62 anni orsono. E questa impresa lo renderebbe senza discussione il GOAT dei GOAT, con buona pace degli altri due.
Ma come dicevo sopra, non è possibile identificare il migliore di tutti i tempi, soprattutto nel tennis. Avete presente il signore che ho nominato prima? Si, quel Rod Laver. Ebbene Rod Laver ha vinto il grande slam per ben due volte, nel 1962 e nel 1969.

Vi domandate cosa abbia combinato tra il 63 e il 68? Semplice, non ha disputato i tornei del grande slam perché passato al professionismo. Ebbene si, dalla fine degli anni 50, quando il professionismo si è affacciato al mondo del tennis, i tornei major erano aperti solo a tennisti dilettanti, e questo fino al 1968, quando iniziò l’era “open”. Vi immaginate quanti grandi slam avrebbe compiuto Laver se non avesse preferito il vil denaro al prestigio? Va anche detto che, all’ epoca di Laver, i tornei dello slam si giocavano su due sole superfici, invece di tre come in tempi moderni, ma questo non fa altro che avallare la tesi per cui sia impossibile fare un confronto tra tennisti di epoche diverse. L’ evoluzione dei materiali, delle superfici, dei metodi di allenamento e dei regolamenti, hanno fatto del tennis lo sport che ha subito nel tempo più cambiamenti (motori a parte). Per cui Nole può essere considerato il più forte della sua epoca, ma non il migliore di sempre.
Ma prima che il dottor Divago si impadronisca di me, veniamo al punto.
14 Luglio 2019, Londra, siamo sul 8-7 40-15 del quinto set della più bella finale di Wimbledon di sempre. Roger Federe sta per compiere un’impresa ai limiti dell’impossibile: vincere a 38 anni suonati il suo nono titolo ai Championships e il suo ventunesimo torneo dello slam. E lo sta facendo sconfiggendo uno dopo l’altro, i suoi più acerrimi rivali: Nadal, battuto in quattro set in semifinale e Djokovic, in una battaglia memorabile. Ma proprio quando tutto sembrava scritto, la sorte decide inesorabilmente di voltare le spalle al campione svizzero: due clamorosi errori di diritto, due pugnalate letali al cuore del tennis. Nole rimonta e vince al super tiebreak una partita che , statistiche alla mano, non avrebbe dovuto vincere. Federer è stato superiore in tutto: 218 punti contro 204, miglior rendimento al servizio, miglior rendimento alla risposta, molti più colpi vincenti a fronte di pochi errori gratuiti in più. Eppure ha vinto Nole.

Premetto che, pur ammirandolo tantissimo, non sono un tifoso di Federer: i miei idoli tennistici erano Agassi, Edberg e McEnroe, che non è stato il GOAT, ma il più grande genio del tennis(e del male), mai nato, inequivocabilmente, si. Né un Hater di Djokovic, che ritengo perlatro il personaggio più vero, almeno fuori dal campo, dei Big Three.
Ma quella partita ha oggettivamente impedito la sublimazione di una campione che incarnava l’ evoluzione di tutti i grandi campioni del passato: da Donald Budge a Pete Sampras, passando per Laver e McEnroe. Tutto quello che rappresentava il tennis del passato è stato distrutto da quella partita. Come se il destino volesse dirci che per vincere, si deve giocare come Djokovic.
Intendiamoci, anche Federer è un tennista moderno, ma molte sue caratteristiche appartengono al tennis classico: rovescio ad una mano, cambi di ritmo, gioco di volo, fantasia. Tutto questo è stato soverchiato dalla solidità e dalla grande forza fisica e mentale che caratterizza il tennis moderno.
Dopo quel match, Djokovic ha inanellato una serie di vittorie interrotte solo nel post-covid da una squalifica piuttosto ingenerosa agli US Open(per usare un eufemismo) e dal solito, immenso, Rafa Nadal nel suo regno rosso di Parigi. Federer invece, non ha praticamente più giocato se si eccettua un’apparizione anonima allo US open successivo e un goffo tentativo di rientro quest’ anno, con esiti abbastanza sconfortanti.

Questo per sottolineare la svolta psicologica che quel match ha dato al mondo del tennis.
Ovviamente non ci può essere controprova, ma dubito fortemente che se avesse perso in quell’ occasione Nole sarebbe stato a concorrere per il grande slam. Mentre Roger avrebbe chiuso il suo cerchio, dimostrando di essere lui il più forte della sua epoca, ma soprattutto dimostrando che con un tennis bello e fantasioso si può ancora vincere, basta essere dei campioni.

Invece il futuro del tennis sarà sempre più orientato verso l’efficace solidità di Djokovic, tanto che il maggior candidato a succedergli sul trono dell’ ATP, è un giovanotto spagnolo, che tutti identificano come l’ erede di Nadal, che dice di se di assomigliare a Federer, ma che è in realtà la perfetta evoluzione di Djokovic: un trattato di solidità mentale e forza fisica, senza punti deboli dal punto di vista tecnico e tremendamente efficace, ma ahimè, povero di fantasia e imprevedibilità.
I “risultatisti” compulsivi moderni, diranno probabilmente che quel giorno all’ All England Club, non è morto il tennis, semplicemente Djokovic ha dimostrato di essere più forte. Perché non è bello ciò che è bello, è bello ciò che è funzionale al risultato, tipico dei finti minimalisti di quest’ epoca, che pensano solo alla sostanza, non rendendosi conto di vivere nell’ apparenza. E che degradano l’estetica ad un mero refuso barocco, utile solamente come sollazzo per ikikomori reietti della societa del vincere.

Ma il tennis, quello dei gesti bianchi decantato dalla fine penna di Clerici, lo sport che più di tutti è espressione d’ arte, è morto quel giorno.
Ed è curioso che l’assassino sia stato un ribaldo guascone nato in Jugoslavia, il paese di “Umirati u lepoti”, morire nella bellezza. Ma la Jugoslavia, non esiste più da un sacco di tempo. E sarebbe ora di rendermene conto.

Massimiliano Cacurri -utente di Live Tennis


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


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