in

Claudia Giovine: “Ciò che ci muove è la passione e, nonostante le difficoltà, mi ritengo fortunata” La tennista brindisina si racconta ai lettori di Live Tennis

“…e l’aria era piena di pensieri e di cose da dire. Ma in momenti simili vengono sempre dette solo le piccole cose. Le grandi cose si acquattano dentro, non dette.”
Arundhati Roy,

La citazione con la quale introduciamo l’intervista di oggi è tratta da un libro, a mio avviso davvero intenso e ricco di significati, “Il Dio delle Piccole Cose”. La suggestione mi è venuta parlando al telefono con Claudia Giovine, ascoltando la sua voce pacata, intrisa di pause, intercalari, silenzi, espressione di una persona introspettiva, che riflette molto dando importanza anche al più piccolo dei pensieri che le vengono in mente. E sulla scia di questa suggestione riguardo l’infinitamente piccolo, che Claudia mi sembra davvero rappresentativa di quel mondo tennistico, lontano dalla ribalta dei grandi circuiti da centinaia di migliaia di dollari, dagli Slam, dalle vette del ranking, ma la cui narrazione, fatta di piccole cose, lo rende grande, affascinante. La ricerca dell’albergo più economico, il dividersi tra campo e lavoro, l’eterno e scomodo viaggiare, i conti da quadrare tra spese e premi, trasformano la vita degli interpreti di questo mondo speciale nel suo essere ordinaria, eroica addirittura, se pensiamo alle difficoltà che ciascuno deve superare per coltivare questa passione. Ed è proprio da questo mondo, nascosto ma prezioso, che ci arrivano le parole di Claudia Giovine.

Allora Claudia, raccontaci come il tennis è entrato nella tua vita:

Ho iniziato a giocare a tennis perché mia mamma giocava a tennis: mi ha insegnato a giocare lei, lo ha insegnato anche a mia sorella ed a mia cugina. Diciamo che partendo dal taekwondo, che non c’entrava niente, intorno ai sei anni ho iniziato a giocare a tennis.

Tu sei di Brindisi: che peso hanno avuto in primis Flavia Pennetta, ma anche Roberta Vinci, nella tua carriera tennistica?

Inizialmente, Flavia ha avuto un impatto molto motivante: il suo crescere è stato graduale, era già forte da piccola e con il tempo lo è diventata sempre di più. Crescendo, alcune volte, mi dava fastidio il fatto che ci fosse il paragone, poi ho capito che comunque mi sarebbe servito, una campionessa come lei mi avrebbe aiutato a capire molte situazioni di questo sport. Roberta l’ho vista giocare che ero piccolissima, stimo tantissimo anche lei; come dimenticare quando sono arrivate in finale agli US Open? Comunque mi ha fatto venire più i brividi Roberta che ha vinto contro Serena rispetto a tutto il contesto della finale.

Quanto e cosa ti ha dato il tennis finora e quanto ti ha tolto?

Il tennis mi ha dato tantissimo, da quando ero piccola fino ad ora, dal punto di vista personale: stare da soli con se stessi è qualcosa che ti forma umanamente, come persona. Chiaramente mi ha un po’ tolto le frequentazioni personali, soprattutto affettive: mi mancano le amicizie che ho ancora nella mia città e la mia famiglia.

Tu hai avuto una buona carriera da junior arrivando alla posizione n. 54 nel ranking mondiale. Cosa ricordi di quel periodo?

La differenza tra i tornei junior e quelli che gioco adesso è abissale; con la federazione ho fatto un certo tipo di percorso e adesso è tutta un’altra storia. L’esperienza a livello junior è stata importante da un punto di vista costruttivo, per la formazione del carattere, ma è completamente un’altra mentalità e un altro modo di vedere le cose. Può deludere le aspettative di chi poi deve andare ad affrontare totalmente i tornei professionistici, completamente diversi sotto ogni profilo.

Ricordi un talento junior sul quale avresti scommesso che invece non è riuscito a raggiungere buoni risultati?

A livello junior tutte le tenniste che pensavo potessero raggiungere buoni risultati sono arrivate, tra queste la Halep e la Pavljucenkova.

In generale, servono secondo te i tornei junior?

Secondo me servono ma relativamente. Le tenniste che hanno iniziato a giocare da subito i tornei più importanti poi sono rimaste avvantaggiate dopo. Attualmente non credo assolutamente ci sia della pressione a livello giovanile, anzi, c’è molta più spinta rispetto a quando giocavamo noi e ci sono molti più aiuti.

Veniamo alla tua ultima vittoria di Ortisei. Come è maturata e quanto ti sei piaciuta in campo?

Ortisei è un posto dove vado a giocare sempre con grande piacere. Vincere mi è servito per riprendere fiducia dopo un periodo in cui ho giocato pochi match e mi ha dato la certezza di aver ripreso bene da un problema che avevo a un gomito. È stato un anno un po’ tumultuoso: ho cambiato due luoghi dove vivere e dove allenarmi, esperienza comunque motivante.

Nel 2010 hai raggiunto la 257esima posizione del ranking. Che cosa ha girato male per cui non sei riuscita finora a migliorarla e quali scelte faresti o non ripeteresti?

Non è girato male niente di particolare, ho avuto dei cambiamenti positivi e negativi nella mia vita, soprattutto a livello familiare. Ho avuto un blocco per cui ho perso il percorso che avevo cominciato, mi sono attaccata a conoscenze non molto positive perché non stavo attraversando nella maniera giusta quel periodo. Attraverso vari cambiamenti, ho capito che il problema veniva da me e dovevo risolvere prima delle cose dentro di me; man mano mi sono ritrovata, sbattendo la testa un po’ di volte. Comunque se tornassi indietro farei esattamente le stesse cose che ho fatto: non mi pento assolutamente perché tutte le scelte che ho intrapreso mi sono servite a qualcosa, nel bene e nel male, ho capito sicuramente tanto ogni volta.

Vari studi ITF dimostrano che per le tenniste oltre la top 100 sia molto difficile fronteggiare le spese. Tu come riesci a gestire economicamente la tua attività?

Sì, è molto difficile fronteggiare tutte le spese economiche che ci sono ed è difficile trovare degli sponsor in Italia. Lo è anche per le tenniste straniere, anche se nei Paesi asiatici e in America danno una mano in più. Cerco di muovermi in maniera più ottimistica possibile. Ho lavorato quest’anno come cameriera e quando posso faccio lezioni private. Adesso cerco di lavorare con un’azienda svizzera, che si chiama Just, vendendo dei loro prodotti. I miei genitori mi hanno dato una grossa mano fino ad ora.

Che cosa spinge, secondo te, centinaia di ragazze a girare il mondo, di torneo in torneo, rischiando di uscire al primo turno e rimettendoci economicamente?

Non so entrare nella testa delle altre, ti posso solo dire che sicuramente da parte di ognuna di noi c’è una grossa passione che ci muove verso nuovi obiettivi. È senz’altro difficile, come per tutti gli altri lavori, ma penso che la maggior parte di noi sia molto fortunata a poterlo fare. Non ti nascondo che ci sono molte difficoltà ma chi può permetterselo fa bene a farlo.

Si parla spesso di solitudine del tennista in campo, secondo te si è davvero così soli?

No, non credo sia proprio solitudine. Se uno sceglie questo sport è consapevole che in campo si è da soli con se stessi; si è contro un’altra persona, quindi se uno riesce a stare bene con se stesso riesce anche a stare bene in campo. È più difficile quando si viaggia da soli, ma anche qui se uno sta bene con se stesso riesce a farlo, a spostarsi e mangiare da solo; dipende molto anche dal carattere e da quanto uno è abituato alla solitudine. Bisogna anche dire che, nella maggior parte dei tornei, trovi nell’organizzazione persone molto disponibili, così da rendere tutto più piacevole.

Tu sei una tennista di gran temperamento in campo. Come curi la tua preparazione psicologica?

È un po’ di tempo che non lavoro con nessuno, ho lavorato un periodo con un mental coach ma quando ero tesserata a Cagliari, quindi per poco più di un anno. Cerco di fare da me: leggo tanto, cerco di auto-motivarmi attraverso altre attività come lo yoga e la scrittura.

Chi è il tuo coach e che rapporto avete?

Ora che mi alleno ad Arezzo non ho un singolo coach, mi seguono in tre/quattro. Il mio punto di riferimento è Paolo Naldi, ma in campo con me ci sono anche Simone Chiodini, Bracciali, Marco Vannutelli; sono bravi tutti, c’è una grande organizzazione, mi fido particolarmente di loro e mi danno molta carica anche quando sono fuori.

Che cosa pensi dell’attuale momento del tennis italiano femminile, partendo dalla top 100 raggiunta dalla Paolini?

La Federazione potrebbe dare una mano in più, ma in questo momento, comunque, si stanno dando da fare, vedi con Formia. Sicuramente credono molto di più nel tennis maschile, il tennis femminile lo vedono con meno riguardo. Jasmine la conosco abbastanza bene però penso che ce ne siano tante che possono giocare bene, anche giovani, ma, essendo questo uno sport particolarmente fisico e psicologico, c’è da lavorare molto.

Su chi punteresti, Cocciaretto a parte, tra le giovanissime?

Elisabetta gioca molto bene; oltre a lei mi piace molto come gioca Federica Rossi, che è un po’ più doppista che singolarista. Comunque, per quanto riguarda le giovanissime, è difficile dire già da ora quanto potrebbero salire.

Credi che nel tennis si facciano controlli sufficienti riguardo al doping?

Penso che in generale se ne facciano pochi. Sicuramente a livello alto ne fanno di più. Quest’anno non ho avuto controlli, e ho giocato parecchio. Ne dovrebbero fare molti di più, soprattutto perché nell’arco di una stagione si giocano molti tornei e tante arrivano alla fine in condizioni mostruose, di solito non solo l’allenamento ti porta a questo livello.

Esiste una solidarietà tra tenniste riguardo i vostri diritti, i premi, le condizioni di trattamento alberghiero ecc.?

Ultimamente le priorità e i ritmi sono cambiati parecchio, quindi tra di noi anche a livello dai 25.000 in su cerchiamo di dividere stanze e venirci più incontro possibile. Rispetto a prima si nota la differenza.

È corretto a tuo avviso il meccanismo di assegnazione delle wild card nei tornei o ci vorrebbero criteri certi?

Il meccanismo di assegnazione delle wild card si potrebbe sicuramente ridefinire e le regole potrebbero evolversi diversamente. La federazione fa delle scelte giuste e delle scelte sbagliate: in base ai risultati che uno fa e ai ranking vari potrebbero applicare delle agevolazioni o trattamenti diversi, valutando anche la programmazione femminile che è un po’ più ostica rispetto a quella maschile.

Tu hai vinto 12 tornei in singolare e più del doppio… in doppio! Quali sono le vittorie che per te hanno più valore?

Per me ha più valore la parte mia, i tornei individuali; quindi adesso sto cercando di giocare più singoli che doppi per provare a risalire. Diciamo che il doppio mi serve per migliorare in singolare, cioè le mie fasi di attacco ecc. Mi piace da morire giocare il doppio ma non sempre è facile trovare la compagna ideale ed è qualcosa che sto cercando di fare.

Che interessi e che hobby hai al di fuori del tennis e come riesci a coltivarli?

Ne ho molti, ma purtroppo non riesco a coltivarli tutti. Mi piace tantissimo leggere, mi piace andare al cinema, conoscere gente nuova e il mondo della moda; mi piace spaziare insomma! Mi piacerebbe anche tornare a dipingere, ma è una cosa che si farà con il tempo.

Quali sono i film ed i libri più belli che hai visto e letto?

Domanda difficile. Per quanto riguarda i film mi viene in mente Colpa della stelle, e siccome ne vedo troppi e di tanti generi ti dico soltanto questo. Per quanto riguarda i libri letti ultimamente mi sono piaciuti tantissimo L’arte della guerra, che racconta la storia di Mike Tyson, Ho-oponopono, libro più psicologico il cui titolo indica una filosofia hawaiana, e L’onda perfetta, scritto da un autore australiano, Sergio Bambarén, che ha pubblicato anche Il delfino.

Come vivi i social e come ti difendi dagli haters?

I social sono un modo per farsi conoscere dalle persone e un modo per conoscere gente che non hai mai visto o sei curioso di conoscere, magari gente famosa o dalla quale sei stimolato a livello mentale o che ammiri in particolar modo. Non ho, e non credo di avere, nessun hater, non penso che la gente mi odi, l’odio è qualcosa a parte, non ho mai fatto niente a nessuno quindi vivo in maniera serena e tranquilla.

Quali obiettivi vuoi raggiungere nel tennis da qui a fine carriera?

Mi piacerebbe moltissimo diventare una giocatrice completa a livello mentale, tattico, fisico e tecnico. Non mi pongo limiti: da ora in poi, qualsiasi cosa di positivo arriva, va bene.

Che cosa stai progettando per la tua vita il giorno che lascerai il tennis?

Mi piacerebbe tantissimo entrare nel mondo del giornalismo e delle telecronache, avvicinandomi anche a sport al di fuori del tennis.

Puoi lanciare da livetennis uno slogan per avvicinare i bambini al tennis:

Lo slogan principale potrebbe essere: «Avvicinatevi al tennis perché è uno sport per la vita: vi aiuta ad essere persone migliori, vi aiuta a stare sempre a contatto con la gente, vi aiuta a migliorare in continuazione, non vi fa mai smettere di imparare.»

Fin qui Claudia che ringraziamo e che ci auguriamo possa raggiungere i traguardi cui ambisce. In futuro, dopo il tennis, ci auguriamo di vederla giornalista, testimone veritiera di un mondo tennistico, lontano dalla ribalta , illuminato però dal Dio delle piccole cose.
“La felicità non va inseguita, ma è un fiore da cogliere ogni giorno, perché essa è sempre intorno a te. Basta accorgersene.
Sergio Bambaren

Antonio De Filippo


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


Tagcloud:

Kyrgios sofferente alla clavicola, ATP Cup a rischio

Ferrari, Camilleri: “Le parole di Verstappen non sono credibili”