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    Intervista esclusiva a Davide Sanguinetti, coach di Mochizuki: “È essenziale guidare il passaggio da juniores a Pro”

    Davide Sanguinetti

    È sempre un piacere parlare di tennis con Davide Sanguinetti. L’ex Pro azzurro, da molti ricordato per i quarti di finale raggiunti a Wimbledon nel 1998, i due tornei ATP vinti in carriera tra cui Milano 2002 battendo Roger Federer in finale e le importanti prestazioni in Coppa Davis, dopo aver appeso la racchetta al chiodo nel 2008 ha intrapreso la carriera da coach, aprendosi al mondo e cercando esperienze a 360°. Del resto non è mai stato una persona banale, sia come tennis in campo – leggero e offensivo – che per le sue dichiarazioni, asciutte e schiette. Il nativo di Viareggio ha iniziato la carriera da coach allenando Vince Spadea, quindi per alcuni mesi Dinara Safina, sorellina di Marat ed ex 1 WTA, per poi passare in varie esperienze tra oriente e USA, assistendo il giapponese Go Soeda, il cinese Di Wu, i fratelli Ryan e Christian Harrison e lo specialista del doppio Michael Venus.
    Adesso è da alcune settimane all’angolo del 19enne Shintaro Mochizuki, numero 271 ATP. Il giapponese è stato numero 1 del mondo Juniores nel 2019, anno in cui ha vinto l’edizione giovanile di Wimbledon. Sbarcato tra i Pro, a livello Challenger il suo miglior risultato è la semifinale raggiunta nel torneo di Matsuyama sul finire dello scorso anno. Nel 2023 ha un record di 23 vittorie e 9 sconfitte.
    Nella chiacchierata con Davide abbiamo parlato del suo giovane assistito, tennista dal buon potenziale ancora tutto da forgiare, ma anche del suo passato da giocatore di College negli USA, per ricondurci alla serie di approfondimenti sul mondo tennistico universitario statunitense che continueremo a trattare anche in prossimi articoli. Sanguinetti da giovane scelse di girare il mondo, lasciando l’Italia a 18 anni per studiare in America tra la Harry Hopman Academy in Florida e UCLA in California. Un’esperienza che ritiene decisiva alla sua crescita umana e sportiva.

    Davide, è la prima volta che si dedica a tempo pieno alla crescita di un tennista giovane come Shintaro Mochizuki. Le chiedo se e in cosa cambia l’approccio del coach quando si trova al fianco di un tennista ai primi passi nel circuito pro.“Occorre lavorare molto sul piano mentale. È essenziale guidare il passaggio dall’essere un giocatore juniores al diventare un giocatore Pro. Due pianeti diversi. Con Shintaro in questa prima fase stiamo imparando a conoscerci: io sto provando piano piano a entrare nella sua testa, mentre lui sta cercando di aprirsi dal punto di vista caratteriale”.
    Nella tournée americana Mochizuki ha giocato un gran torneo a Waco partendo dalle quali, ma sono rimasto colpito dalla partita di Shintaro a Puerto Vallarta contro Elias, in particolare da un dettaglio: la reazione e il fantastico livello di gioco mostrato nel tiebreak decisivo quando si è trovato sotto 1-6. Segno di forza mentale credo.“È vero, quando gioca rilassato si nota e gioca ovviamente meglio. Mentre quando è avanti nel punteggio gli capita di avere dei passaggi a vuoto che lo portano a sbagliare e ad innervosirsi. Fra l’altro a Puerto Vallarta siamo arrivati in una situazione particolare. Shintaro nei quarti di Waco si era fatto male alla schiena e quindi siamo arrivati alla prima partita in Messico dopo quasi quattro giorni senza alcun tipo di allenamento. Ha giocato bene sia la prima partita che la seconda contro il portoghese pur perdendola, ma questi incontri tirati gli servono per capire cosa bisogna fare per vincere partite a livello Pro”.
    Qual è la vostra programmazione per le prossime settimane?“Adesso siamo in Francia, poi nell’ottica di vedere all’opera Shintaro su tutte le superfici, ci metteremo alla prova sulla terra battuta. In pratica giocheremo fino al Roland Garros tornei su terra”.
    Nel tennis di Mochizuki un colpo sicuramente da migliorare è il servizio. In che modo pensa di lavorarci su?“Innanzitutto occorre lavorare sul fisico e aumentare la massa muscolare. Poi dal punto di vista tecnico ci concentreremo sulla spinta delle gambe e della schiena. Il movimento del servizio è una catena e questi due elementi, gambe e schiena, mancano un po’ nel servizio di Mochizuki”.
    Lei ha avuto un’esperienza importante in un College americano. In cosa è stata particolarmente formativa dal punto di vista tennistico e ci sono secondo lei differenze fra i giocatori che uscivano 15-20 anni fa dal College e i giocatori di oggi?“Per me l’esperienza al College è stata fondamentale. Appena uscito dall’università infatti sono subito riuscito a entrare nel circuito Pro. Nei tornei e campionati universitari ciò che viene formata e allenata è la competitività, l’essere pronti settimanalmente a giocare partite importanti e di buon livello. Mi è servito tantissimo. Una differenza invece che mi pare di poter individuare con i tennisti che escono oggi dai College è la cura dell’aspetto fisico. Il mio coach al College non era molto interessato alla parte atletica del tennis e quindi sono stato io poi nel corso degli anni a dover inseguire e migliorare questo aspetto del gioco”.
    Un’ultima domanda sulla questione palline e lentezza dei campi. Molti giocatori si lamentano delle palline che non vanno e delle superfici sempre più lente. Cosa ne pensa?“È innegabile. Si sta cercando di rallentare il gioco… i giocatori si lamentano, ma questa scelta è fatta per il pubblico e per rendere migliore lo spettacolo sul campo da gioco. Certo rispetto a quindici anni fa il paragone è quasi impossibile… Le palline erano veloci e i campi super-veloci… tutto un altro pianeta rispetto alle condizioni di oggi”.
    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Rotterdam, Camporese e il filo dei ricordi

    Omar Camporese (foto Supertennis)

    Quando nel torneo di Rotterdam Jannik Sinner ha incamerato il primo set nella finale che lo vedeva opposto a Daniil Medvedev, è stato impossibile non pensarci. Trattenere il filo dei ricordi. 1991… Stesso campo, un altro italiano in finale: Omar Camporese a vedersela con Ivan Lendl. Omar da circa sei mesi aveva casa tennistica a Le Pleiadi di Moncalieri, un tiro di schioppo da Torino, per trovare condizione e pace che potessero farlo definitivamente sbocciare.
    Tra il Po e la ferrovia, il presidente de Le Pleiadi, Carlo Bucciero, aveva preso a dar corpo al suo sogno. Dapprima aveva accolto Iaio Baldoni, reduce dalla finale ottenuta agli Assoluti, ma poi era giunto Riccardo Piatti coi suoi “boys”: Cristiano Caratti, Renzo Furlan e Ghigo Mordegan, ai quali dopo un po’ si sarebbe poi aggregato anche il quarto “fratello”, Cristian Brandi. Piatti era fuoriuscito dalla FIT, visto che i suoi ragazzi – tranne Furlan – ormai non rientravano più nei piani federali, piani poco propensi allora ad occuparsi degli over 18. Erano anni davvero molto diversi dagli attuali, dove l’iniziativa privata era vista più come un’ingerenza quasi indebita nel potenziale sviluppo dei campioni, niente a che vedere con quanto saggiamente oggi si fa.
    I ragazzi di Piatti, considerati quasi degli scarti del Centro Federale di Riano, sotto le cure tecniche di Riccardo e quelle atletiche fortemente innovative di Pino Carnovale, si trovarono ad avere condizioni ideali per completare il percorso di crescita: un club a totale disposizione, supporto logistico e mezzi per cominciare a viaggiare, un brand – Bredford – creato dal nulla a corredo. A ripensarci, sarebbe da riproporre per intero ciò che Carlo Bucciero, con le sue sole forze e un entusiasmo senza pari, seppe mettere in atto, anche se poi molto si fece per aiutarlo a fallire. E sì, quello che si faceva a Moncalieri dava veramente tanto fastidio, visto che gli “ scarti” cominciavano pure a vincere.
    Il primo a far intendere che straordinario lavoro si stesse iniziando a fare a Moncalieri fu Cristiano Caratti, autore di una buona stagione estiva negli States, dove a New Haven aveva battuto l’allora n° 6 al mondo Brad Gilbert, per poi arrivare al terzo turno degli U.S. Open, ma soprattutto capace di cogliere i quarti agli Australian Open 1991, mancando d’un soffio l’accesso alle semi, sconfitto al quinto da Patrick McEnroe, dopo aver battuto, tra gli altri, Richard Krajicek.
    Il “tennis ping-pong” di Caratti (venne definito così da Gianni Clerici per la straordinaria capacità di Cristiano di giocare d’anticipo, sfruttando grandi appoggi e baricentro basso, ai quali univa, in discese a rete controtempo, inusitati “schiaffi al volo”) aveva il vento in poppa, tanto che, appena tornato dall’Australia, raggiunse la finale al Muratti Time di Milano, un torneo che equiparato agli odierni, varrebbe almeno un ATP 500.Caratti, prima di arrendersi in finale a Volkov, si prese il lusso di battere, in un match memorabile, Ivan Lendl, allora 3 al mondo: l’attacco di Cristiano sul match point, la stop volley definitiva sono ancora qui negli occhi: semplicemente indimenticabili.
    Per Camporese le cose a Milano non andarono nel modo previsto. Sì, in coppia con l’amico Goran Ivanisevic avrebbe incamerato il titolo in doppio, ma in singolare, opposto al primo turno a Diego Nargiso, s’era incartato in un match che non voleva saperne di decollare per il giusto verso, e alla fine Omar s’era ritrovato ancora una volta a leccarsi le ferite. Il ricordo di quell’incredibile incontro giocato e perso poche settimane prima contro Boris Becker agli Australian Open, chiusosi con un pazzesco 14 – 12 al quinto per il tedesco, dopo che il nostro era riuscito a risalire da due set sotto, rifilare un memorabile 6-0 nel terzo, per poi arrendersi solo dopo oltre 5 ore di gioco, sembrava definitivamente svanito. Dov’era finito quel “giocatore incredibile”, come gli aveva sussurrato all’orecchio Boris?
    Era dal match di Coppa Davis giocato a Cagliari l’anno prima contro la Svezia che le cose non giravano mai come avrebbe desiderato. Nessuno gli aveva riconosciuto il fatto che aveva lottato come un leone nel primo giorno contro Mats Wilander, perdendo soltanto al quinto e di misurissima: gli ricordavano solo che avesse ceduto di schianto a Svensson in un match che avrebbe potuto e dovuto portare a casa.Come detto, casa l’aveva però trovata a Le Pleiadi e gli allenamenti alla corte di Bucciero e Piatti avrebbero dovuto sfociare nella stagione ’91 in risultati continui e confortanti. Melbourne l’aveva lasciato intendere e Milano sembrava la piazza giusta per confermare le ottime cose viste “Down under”, ma non si rivelò tale. Omar, dopo la sconfitta patita contro Nargiso, si aggirava come un leone in gabbia nei corridoi del Forum di Assago. Era seguito da Stefano Lopez dell’IMG e Fabio Della Vida che provavano a rincuorarlo, ma non c’era verso. Quando Carlo Bucciero gli ricordava che avrebbe dovuto prepararsi per Rotterdam, la risposta era una sola: – Io in Olanda non ci vado! A Rotterdam non ci voglio giocare, chiaro?! –Come Dio volle però alla fine, dopo un paio di settimane di sbollitura, riuscirono a imbarcare Omar su un volo, accompagnato da Gigi Bertino, il quale, dopo appena un paio di giorni, prese a mandare report preoccupanti. Sembrava che il nostro facesse apposta a provare a fare (in vero inutilmente…) il contrario di quello che gli si diceva.
    A cena, tempo di ordinazioni, Camporese chiedeva una birra e “junk food”. Bertino cercava di farlo ragionare, gli diceva che quella birra non si doveva e poteva bere e che la sua dieta prevedeva ben altro. Alla fine, dopo un po’ di tira e molla, la ragione prevaleva: acqua e cibo sano venivano ingoiati tra qualche mugugno, ma venivano ingurgitati solo rimarcando che, se mai ci fosse stata ancora un’altra sera e un’altra cena, si sarebbe fatto come diceva lui. L’arrivo a metà settimana di Fricky Chioatero, in sostituzione di Bertino, non sembrò migliorare le cose, pur con tutta la buona volontà che Fricky ci stava mettendo. Ogni sera stesso ristorante e stesse scene, con la birra che immancabilmente finiva rovesciata da Chioatero nel vaso di una disgraziata pianta che, poveraccia, stava lì in un angolino a tiro. Ma tra una protesta e l’altra Camporese prese a vincere senza fermarsi più. Prima fece fuori lo scorbutico austriaco Antonitsch, poi Karel Novacek, quindi il beniamino di casa Paul Haarhuis in semifinale.Il solito ristorante e la solita birra versata, peraltro senza mai berne una goccia, divennero gesti scaramantici e portarono bene. Eccome se portarono bene.
    Il diritto di Omar faceva sfracelli e prese a portar via gli avversari come aveva sempre sognato, e ogni volta sulla racchetta dei malcapitati arrivava un peso di difficile gestione e digestione. Il servizio non solo garantiva percentuali sempre più interessanti, ma diventava devastante nel vero senso della parola. Anche il rovescio, che nell’arsenale del nostro non era certamente l’arma più fidata, prendeva a praticare geometrie apprezzabili tanto da consentire a Omar di reggere botta nello scambio fino a che poteva girarsi sul diritto ed esplodere inside out di rara potenza e bellezza.La finale non iniziò proprio come si sarebbe desiderato: 6-3 iniziale per Lendl che sembrava giocare in totale sicurezza. Persin troppo sicuro.La musica infatti cambiò nel corso del secondo set. Camporese prese scioltezza e fiducia, e se anche non riusciva a piazzare allunghi decisivi, rimaneva saldamente nel match, tanto che Lendl prese a dar qualche segno di insofferenza, anche se mascherava e si continuava a leggergli negli occhi la certezza che, dopo il match perso a Milano con Caratti, a Rotterdam non avrebbe potuto perdere con un altro italiano.Ma Camporese bastonava sempre di più e sempre meglio col suo diritto e ora sapeva presentarsi a rete con continuità e notevole autorità. Il tiebreak della seconda partita si risolse a favore del nostro per un nonnulla e la terza frazione si aprì con Lendl che prese a smaniare, visto che non gli riusciva di scrollarsi di dosso il giocatore bolognese. Lendl, cosa davvero rara, prese pure a commettere errori non forzati, inusitati per lui, accompagnati da scuotimenti del capo sempre più frequenti.
    Il match si risolse con un nuovo tiebreak, nel quale Camporese dapprima resistette per poi issarsi a match point. Fallì la prima occasione, poi, su uno scambio che sembrava perso, Lendl fece una cosa che mai ci saremmo aspettati da lui: su un recupero all’ultimo respiro di Camporese, la palla gli giunse comoda comoda nei pressi della rete, dal lato del rovescio, si girò sul diritto e, quando tutti si aspettavano che sparasse come suo solito una bordata “alla Lendl”, toccò invece la palla piano, una sorta di smorzata improbabile. Omar sembrò incredulo, poi con un scatto in avanti giocò il più facile dei rovesci a campo vuoto e la vittoria fu sua.
    Durante la premiazione riuscì solo a dire: “Probabilmente sto ancora sognando…”, invece era tutto vero e da lì in avanti nacque una storia diversa che l’avrebbe issato al n° 18 al mondo, a vincere a Milano, a diventare davvero “il giocatore incredibile”, come Boris Becker aveva dovuto ammettere dopo aver rischiato l’osso del collo in ben due occasioni, a Melbourne e in poi Davis, sfangandola sempre solo al quinto.
    La palude di Maceiò, quel maledetto incontro col Brasile giocato su una spiaggia, l’operazione che gli aprì il gomito come un’arancia non erano ancora all’orizzonte, e Omar poté finalmente lasciarsi andare. Come? Solito ristorante e solita ordinazione, ma questa volta la pianta tirò un sospiro di sollievo: la birra finì da un’altra parte. Com’era giusto che fosse.

    Elis Calegari LEGGI TUTTO

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    Intervista a Leonardo Rossi: “Giocare a tennis mi fa sentir bene”

    Leonardo Rossi

    “Giocare a tennis mi fa sentir bene…. In campo gioisco, mi arrabbio, tiro fuori il meglio e il peggio di me… Insomma un mix di emozioni che mi fanno sentire vivo ogni giorno!”
    Così, tre anni fa, spiegava in un’intervista il suo rapporto con il tennis un giovane italiano che proprio la scorsa settimana ha fatto il suo ingresso fra i prime mille giocatori del mondo. Stiamo parlando di Leonardo Rossi, toscano, venti anni e numero 977 nel ranking ATP. Accendiamo i nostri riflettori su di lui.
    Leonardo cresciuto nel (e attualmente tesserato per il) Tennis Club Pistoia, ha vissuto un’intensa stagione 2022 a livello ITF, la prima vera a livello pro ed ha aperto l’anno con una splendida semifinale a Sharm ElSheik. Abbiamo fatto alcune domande a Rossi per cominciare a conoscerlo meglio.
    Ci descrivi il tuo tennis? C’è un giocatore a cui ti ispiri?Come tipologia di giocatore sono un attaccante da fondocampo, mi piace fare gioco con i due fondamentali. Anche se gioco il rovescio bimane, uno dei miei idoli è sempre stato Simone Bolelli.
    Il record della tua scorsa stagione recita 50 vittorie e 26 sconfitte. In sostanza hai vinto davvero tante partite. Poi a settembre le gemme dei due quarti di finale conquistati partendo dalle quali. Possiamo definirla la stagione della consapevolezza?Sì assolutamente, lo scorso anno è stato il primo in cui sono riuscito a dare più continuità a livello ITF e partendo sempre dalle qualificazioni ho avuto la possibilità di giocare tante partite e di vincerne molte. Nel corso della stagione sono riuscito a qualificarmi in molte occasioni e a quel punto ho capito di avere il livello per competere con i giocatori del main draw. Un’ulteriore spinta a livello di consapevolezza è stata la conquista dei primi punti ATP.
    Su quale parte del tuo gioco dal punto di vista tecnico stai lavorando in questo periodo?Sto lavorando principalmente su due aspetti: il primo è riuscire a gestire meglio il primo colpo dopo il servizio e il secondo migliorare la mia lettura e abilità nell’approccio a rete, che considero una parte fondamentale per sviluppare ulteriormente il mio gioco.
    Qual è la caratteristica dal punto di vista mentale e di atteggiamento sul campo che ti contraddistingue? E dove invece credi di dover migliorare?Una caratteristica che credo mi contraddistingua è una buona sicurezza nei miei mezzi e il poter competere con qualsiasi tipo di avversario. Credo di dover migliorare nel mantenimento del livello di attenzione, evitando così cali di concentrazione nel corso della partita.
    Ti sei posto un obiettivo di classifica da raggiungere per il 2023? O sei concentrato al momento solo sullo sviluppo del tuo gioco?Sono molto concentrato sul miglioramento della mia professionalità e del mio gioco a 360 gradi, credo che migliorando sotto questi aspetti una crescita a livello di ranking sia direttamente proporzionale.
    Ultima curiosità, mi interessa il parere di un tennista giovane: sei favorevole all’idea di modificare qualcuna delle regole del tennis per rendere le partite meno lunghe?No. Io sono abbastanza tradizionalista e mi piacciono le regole di punteggio che sono sempre esistite. Credo che altrimenti si rischierebbe di snaturare la vera essenza del gioco.

    Antonio Gallucci LEGGI TUTTO

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    Intervista a Franco Alciati, Presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis

    Franco Alciati con Williams Driva Suzanne Lenglen del 1927

    Astigiano d’origine ma torinese d’adozione, Franco Alciati ama il tennis, sport che pratica abitualmente nonostante (a suo dire…) i modesti risultati, ma soprattutto coltiva da anni l’hobby del collezionismo, in questo caso con risultati eccellenti. Autore di diversi libri, cura per Il Tennis Italiano una rubrica su questo argomento ed è presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis. Ha avuto la gentilezza di concedermi questa intervista, che ci aiuterà a scoprire curiosità e segreti di questo particolare aspetto del nostro sport.

    Franco, da anni sei il presidente dell’Associazione Collezionisti Tennis. Vuoi spiegare per chi non la conosce quando è nata e con quali obiettivi? L’Associazione Collezionisti Tennis, ente no profit, nasce nel 2009 per individuare e valorizzare al meglio le memorabilia sul tennis ed in particolare di quello italiano. Nel 2010 ha attivamente partecipato al Foro Italico di Roma all’importante mostra sui 100 anni della Federazione Italiana Tennis, fornendo prezioso materiale d’epoca e contribuendo anche significativamente alla stesura del libro 100 anni di Tennis in Italia. Poi abbiamo organizzato svariate esposizioni sul tennis e, recentemente, in concomitanza delle ATP Finals di Torino, l’Associazione è stata coinvolta in diverse iniziative. Nel 2021 all’Archivio Storico della città di Torino è stata allestita la mostra Le Regine del tennis, dedicata alle grandi tenniste a cavallo fra gli anni venti e trenta del Novecento: Suzanne Lenglen, Helen Wills, la milanese Lucia Valerio e la torinese Paola Bologna. Poi dal novembre 2022 e fino al 31 gennaio 2023, sempre all’Archivio Storico di Torino si può visitare la mostra Che bambole! Le tenniste Lenci alla conquista del Mondo. Inoltre due altre esposizioni a Torino dal titolo La Divina, omaggio a Suzanne Lenglen sono state presentate alla Biblioteca Centrale di Torino e allo Spazio Filatelia delle Poste Italiane di via Alfieri, dove per l’occasione è stato lanciato un bellissimo annullo speciale sulla tennista francese. Iniziativa quest’ultima che è stata accolta favorevolmente anche da una miriade di collezionisti non di tennis.

    Che cosa può trovare un appassionato sul vostro sito?Sul sito www.asscotennis.it sono fornite tutte le informazioni per l’iscrizione il cui costo annuo ammonta ad euro 25,00. Con questa cifra si avrà in omaggio, unitamente alla tessera di socio, il Quaderno del collezionista stampato nell’anno. Si potrà inoltre partecipare a diverse iniziative ed essere informati su aste internazionali e vendite di materiale proposte direttamente dai singoli soci.

    Mi vorrei soffermare in particolare proprio sulle pubblicazioni che l’Associazione promuove, e acquistabili scrivendo a ass.co.tennis@tiscali.it oppure direttamente a alciatifranco@libero.it. Tu per esempio hai scritto molti libri interessantissimi e ricchi di notizie, immagini e documenti. Ce ne vuoi parlare?Il ‘pezzo forte’ della Associazione è, come dicevo prima, la pubblicazione annua del quaderno del collezionista da considerarsi ormai un vero e proprio libro. Dal 2010 ad oggi ne sono stati pubblicati quindici di cui due scritti da Beppe Russotto, il presidente fondatore della Associazione, e gli altri tredici dal sottoscritto. I libri contengono una miriade di immagini e trattano argomenti disparati. Diversi riguardano il mondo della racchetta: Racchette dal design particolare, Persenico storia e racchette, Sail una storia fugace, Sirt e Maxima un binomio vincente, o Altre racchette italiane; altri, sono dedicati a grandi giocatori del passato, come Omaggio a Suzanne e Suzanne, Helen e Bill in Italia che propongono memorabilia sulla ‘Divina’ e tutte le partite giocate in Italia da lei ed anche dalla rivale Helen Wills e Bill Tilden; Campioni di ieri e di oggi tratta dei principali tennisti e tenniste italiane da De Morpurgo alla Schiavone mentre Dal Piemonte alla Sicilia il tennis italiano in cartolina contiene rare immagini d’inizio Novecento divise per regioni che immortalano le prime cartoline, alcune rarissime, sul tennis. L’evoluzione della moda del tennis in Italia tratta la moda del gioco da fine Ottocento sino agli anni ottanta del Novecento, libro che è stato in più occasioni molto apprezzato dall’indimenticato Gianni Clerici. Poi c’è un volume particolarmente interessante che tratta la storia delle palle da tennis italiane. Il racconto di questo libro inizia con l’esposizione di immagini inedite e rarissime relative alle italiche ‘balette’ cinquecentesche sopravvissute sino ad oggi e conservate a Urbino, Mantova e Jesi. Inoltre vorrei segnalare Le bambole Lenci giocano a tennis per le certosine ricerche (molte in USA) che mi hanno consentito di risalire a tutte queste formidabili bambole. Una cosa a cui tengo particolarmente è sapere che tutti i testi della ACT sono presenti nella libreria del Museo di Wimbledon e il compianto Alan Little li considerava molto preziosi.

    Poi c’è l’ultimo, appena uscito, sulla storia delle figurine tennistiche…Sì, si intitola Le figurine italiane sul tennis prende in considerazione tutte le figurine sul tennis pubblicate in Italia dalle vecchie Liebig a quelle adesive dei nostri giorni. Dire che questo libro mi riempie d’entusiasmo è vero perché la ricerca è stata lunga e difficile ma l’aver ottenuto dai grandi collezionisti di figurine sportive il loro plauso mi gratifica ampiamente.

    Infatti, ti volevo proprio chiedere, come e dove ti documenti per svolgere questo eccezionale lavoro “archeologico”?Per completare ed ampliare certi argomenti è fuor di dubbio che è importante avere la possibilità di accedere a materiale d’epoca oltreché a buoni…. amici. Per quanto riguarda gli aspetti storici, statistici e fotografici sul tennis (in particolare italiano) ho una vastità di fonti disponibili. Posseggo quasi tutti i numeri della rivista Il Tennis Italiano dal 1929 ai giorni nostri, molte annate di Match Ball e tutti i numeri di Tennis Club oltre ad una miriade di libri e manuali sul gioco. Nonostante ciò per risolvere amletici dubbi o approfondire determinati argomenti è indispensabile l’utilizzo di Internet (in primis i siti esteri sul collezionismo tennis) e rivolgersi (a seconda degli argomenti) a persone competenti nello specifico settore. Devo dire che ho sempre avuto porte aperte quando, pur non conoscendo la persona, con cortesia mi sono rivolto a specialisti, cosa che si è anche verificata recentemente per la stesura del libro sulle figurine.

    Un aspetto interessante è che, al contrario di quello che potrebbe pensare un profano, le racchette vintage non sono l’unico oggetto collezionato. Anzi, esistono collezioni molto specializzate e molto particolari vero? Puoi farci qualche esempio?Le racchette vintage sul tennis (in primis quelle in legno) sono collezionate dalla stragrande maggioranza degli appassionati. C’è chi ricerca specialmente quelle di fine Ottocento di fabbricazione per lo più anglosassone (costose e difficili da reperire) mentre altri, come il sottoscritto, collezionano solo quelle italiane ante 1950. Tra i collezionisti più giovani sono diversi quelli che si lanciano anche sulle racchette in metallo e dei primi materiali sintetici. In abbinamento alle racchette vengono collezionate anche le scatole e i tubi di vecchie palline oltre alle presse in legno da trasporto o da magazzino. Tantissimi quelli che raccolgono vario materiale cartaceo: cartoline (molto collezionate), figurine, autografi dei campioni, adesivi pubblicitari, francobolli, calendarietti da barbiere, foto d’epoca e carte telefoniche. Più costosi ma decisamente affascinanti sono poi i manifesti d’epoca (bellissimi alcuni italiani a firma di Lenhart, Boccasile, Mancioli, Romoli ecc.), quadri ad olio o acquarelli eseguiti da artisti sia vecchi che moderni. Le ceramiche e le vecchie bambole (tipo la citate Lenci) sono anch’esse molto ricercate e quando appaiono sulle vendite on line sono sempre oggetto di serrate contrattazioni. Anche i vecchi giochi da tavolo sul tennis (ping pong, spirobole, giochi di società) e quelli meccanici sono molto contesi. Queste sono le principali tematiche oggetto di collezionismo ma altre, magari meno sviluppate, come per esempio i programmi e i biglietti d’ingresso ai tornei o l’abbigliamento delle case italiane degli anni settanta (Fila, Tacchini, Maggia, Ellesse, ecc.) godono di un interessante mercato.

    Tu per esempio che cosa collezioni? Quando hai incominciato? Qual è il “Santo Graal” della tua collezione?Mi interesso con particolare attenzione agli aspetti cartacei: libri, riviste, manifesti, figurine e cartoline di cui ne possiedo più di tremila. Raccolgo tutto il materiale possibile su Suzanne Lenglen. Per quanto riguarda le racchette possiedo la francese Williams Driva modello Suzanne Lenglen utilizzata nel 1927 personalmente dalla campionessa durante una sua esibizione nel North American Tour. Poi tre rare racchette austriache della Thonet di fine Ottocento, racchette che personalmente considero fra le migliori al mondo sia come materiale che come forma (ricordo che la Thonet è stata la prima fabbrica al mondo a curvare il legno nella fabbricazione di sedie e mobili). Tra le italiane la Olimpionica della SARP Persenico, telaio difficile oggigiorno da trovare in buone condizioni di conservazione. Ma in assoluto tra le mie memorabilia preferite ci sono le bambole Lenci tenniste, pezzi rarissimi e di un fascino ineguagliabile.
    (Due introvabili bambole Lenci tenniste)
    (Due Thonet di fine Ottocento)

    Sono molti i collezionisti in Italia rispetto ad altri paesi?L’Associazione Collezionisti Tennis da diversi anni si è stabilizzata su una sessantina di soci dislocati sul territorio nazionale. Personalmente ritengo questo numero buono se si tiene conto che la più importante associazione al mondo, la britannica The Tennis Historian (già The Tennis Collector) conta circa una novantina di soci. Con gli amici inglesi la ACT collabora da alcuni anni sia nello scambio di informazioni così come nella stesura di articoli. Bisogna poi considerare il fatto che in Italia pur non essendo soci ci sono appassionati, che io considero amici, che di tanto in tanto dimostrano interesse su determinati nostri progetti. Non mancano poi i cosiddetti collezionisti ‘nascosti’, che fanno di tutto per rimanere anonimi e che sono talmente gelosi dei loro articoli tanto da non farli vedere a nessuno. In ultimo segnalo che in Italia nel 2019 è sorto, su volere di Gianni Clerici, il Club delle Balette (in cui il sottoscritto è uno dei soci fondatori) con lo scopo di studiare e rafforzare il legame della pallacorda (poi tennis) e dei vecchi giochi della palla in Italia.

    (Piattini di ceramica Richard Ginori firmati da Gio Ponti)
    Franco, ringraziandoti per la tua disponibilità e per concludere: che consigli daresti a chi volesse muovere i primi passi nel mondo del collezionismo?Il neofita che inizia una collezione dovrebbe evitare di farsi prendere dalla frenesia e cercare nel limite del possibile di iniziare con parsimonia i primi acquisti. Cercare di capire bene i valori all’incirca giusti di determinati articoli è importante e non sempre i prezzi ebay o quelli dei venditori di un mercatino dell’antico sono corretti. In questo sicuramente l’Associazione può aiutare e dare dei consigli a chi fosse perplesso su un acquisto. Un altro elemento da tenere in considerazione è poi quello di cercare di non comperare alla rinfusa ma per sottocategorie ben determinate, tipo: racchette solo italiane o di una determinata azienda produttrice oppure cartoline sul tennis pubblicitarie o su campi da tennis magari esclusivamente italiani o di una determinata regione. Tutto quello che si acquista andrebbe ‘studiato’ per rendere il tutto maggiormente interessante. Per esempio capire quale tennista del passato ha utilizzato la marca di racchetta che hai appena acquistato a volte non è semplice ma con pazienza e un po’ di fortuna si può arrivare a scoprirlo. La stessa cosa vale per cartoline o vecchie stampe non firmate dall’artista ma di cui con pazienza si può risalire alla paternità. Inoltre è fondamentale non essere gelosi dei propri pezzi ma farli vedere, scambiarli e dialogare il più possibile con altri collezionisti. Ampliare il proprio orizzonte e conoscere nuovi amici è stimolante e ti apre la mente a nuove iniziative. Personalmente avere sempre più di frequente relazioni con amici europei, americani e ultimamente anche cinesi, mi sta dando molta soddisfazione.
    Paolo Silvestri LEGGI TUTTO

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    Claudio Grassi: “Agnese Calzolai gioca con qualità e leggerezza. Il talento? È qualcosa che hai dentro, proprio dei giovani che danno ‘impegno gratis’”

    Agnese Calzolai e Claudio Grassi

    L’ex Pro Claudio Grassi, oggi tecnico nazionale presso il AT Bibbiena, ha vissuto un inizio 2023 intenso accompagnando la piccola e talentosa allieva Agnese Calzolai al Lemon Bowl, dove la toscana è giunta in finale nel tabellone Under 12, battuta in due set dalla favorita del seeding (e grande talento) Victoria Lanteri. Una bella esperienza per Agnese e anche per Claudio, che ci ha parlato della Calzolai e sull’insegnamento ai ragazzi più giovani e di prospettiva. Molto interessanti le parole del coach sull’importanza di insegnare la cultura del lavoro, passo decisivo per la crescita umana e sportiva.

    “Lavoro con Agnese da due mesi e mezzo, da quando mi sono spostato a Bibbiena diventando il direttore della scuola tennis” ci racconta Claudio, “non molto tempo. Quindi il merito della crescita e livello raggiunto dalla ragazza è innanzitutto frutto del suo talento e assolutamente da dividere col suo maestro storico, che la segue da sempre, Tiziano Lunghi. Abbiamo un’ottima sintonia, seguiamo insieme il progetto della Calzolai che già da tempo sta mostrando di avere le carte in regola per provare fare cose importanti. Ricordo che Agnese ha vinto nel 2019 il Lemon Bowl nella categoria Under 8. Per me invece è stata una prima volta alla manifestazione, non l’ho mai giocata nemmeno quando ero uno junior. Ne avevo sempre sentito parlare un gran bene, e devo confermare che è un bell’evento. Si vedono tanti bambini con talento e assai avanti rispetto alla loro età per come affrontano lo sport, dal riscaldamento a come parlano coi loro maestri, come preparano le partite, come fanno defaticamento… quasi fin troppo oserei dire! Agnese per ora è una ragazza che ama il tennis e vi si dedica con grande attenzione, ma affronta la sua crescita in modo più “leggero”. Le piace anche il calcio e la Fiorentina, recentemente ha provato lo sci ed è tornata entusiasta”.
    Che tipo di ragazza è, ce la puoi descrivere?“Fondamentalmente è una ragazza molto coordinata, potrebbe eccellere in qualsiasi sport visto le abilità di base che possiede. Non ha un gioco di potenza, ha molta mano e la considero – insieme ai tecnici di Formia che la seguono come ragazza di interesse nazionale – una tennista universale. A chi può assomigliare? Beh, per trovare una tennista che tutti conoscono potrei dire che ha un gioco un po’ alla Roberta Vinci, ma con qualcosa di Swiatek e perché no un po’ di Pennetta per la facilità con cui colpisce. Non è una che cerca di spaccare la palla con tutta la sua forza, tutt’altro, lei ama giocare lo slice, fare le palle corte, venire a rete, accelerare all’improvviso. Le piace tantissimo giocare gli “strettini” di tocco, ma sa anche tenere in difesa e soffrire da dietro, il tutto sempre eseguito con grande naturalezza. Questo è quel che spicca di più quando la vedi giocare, fa le cose in modo naturale, spontaneo, non c’è tensione o sforzo quando gioca. Intendiamo farla crescere così, senza specializzarla, seguendo anche le linee guida della FIT che parlano appunto di specializzazione non prima dei 17 anni”.
    Il fatto che lei guardi anche oltre al tennis e si interessi nelle cose è un fatto positivo, no?“È un fatto estremamente positivo, che condivido con lei, Tiziano e la sua famiglia. Proprio la famiglia è straordinaria (e non comune) perché asseconda i desideri della figlia, ascolta quel che lei pensa e lascia lavorare noi tecnici che stiamo guidando la sua crescita, dalla scelta dei tornei al modo e quantità di lavoro che facciamo ogni settimana. Se pensiamo che debba fermarsi per lavorare del tempo su qualche aspetto tecnico senza competere, la famiglia segue le nostre indicazioni. Agnese è ancora emotiva, un po’ chiusa, quindi con lei facciamo le cose a piccoli passi, stiamo molto attenti alla sua crescita, ma è evidente che si diverte tanto quando gioca. Si allena, si impegna, ma non la stiamo caricando di lavoro e di pressione eccessiva perché è una ragazzina che affronta le situazioni che le si presentano davanti con grande semplicità e vogliamo che continui così senza stress e ansie alla sua età”.
    Eppure sul web, soprattutto Instagram, ormai dilagano profili di ragazzini e ragazzine più piccole di lei che mostrano sessioni di allenamento, super colpi e un lavoro in campo degno di un Nadal…“È vero e ritengo che sia un’esagerazione, qualcosa che finisce per incrementare pressione e stress che, alla loro giovane età, non sono salutari. Mi piace invece vedere che quando Agnese entra in campo è felice, serena, pensa solo a giocare e divertirsi, pur con impegno e fatica. Purtroppo invece ai nostri giorni si guarda troppo a quel che si trova sui social, tutte storie straordinarie, fanno arrivare il messaggio che se non hai per le mani uno che a 16 anni è un fenomeno, un NextGen da paura, allora sei un fallito… Non è così! Quelli sono marziani, ne nasce uno ogni tanto, farlo capire a famiglia, circoli e volte anche a tecnici non è facile. Abbiamo davanti a noi dei ragazzi molto giovani, li dobbiamo crescere soprattutto come persone e se ci vai troppo pesante, rischi di far crollare tutto quel che hanno costruito. Abbiamo una responsabilità importante su di loro”.
    In molti affermano, scuola inclusa, che è sempre più difficile tenere alta l’attenzione nei ragazzi, soprattutto per colpa dell’eccesso della tecnologia, uso continuo degli smartphone, social, ecc. Visto che tu segui ragazzi di varie età, come vedi la questione, li trovi peggiorati negli ultimi anni da questo punto di vista?“È un argomento delicato. Quando sono arrivato al mio club attuale mi sono inserito in una struttura di discreta dimensione e con un buon bacino d’utenza. Da nuovo direttore, ho comunicato che ci tenevo a inserire delle piccole regole che secondo la mia esperienza prima da giocatore e poi da coach mi hanno aiutato, le reputo importanti. La prima cosa che vedi quando un ragazzo o ragazza arriva al club è che in mano non ha le scarpe, le racchette, ma il cellulare perché prima di entrare in campo o palestra è urgente mandare il messaggino, il social, la foto, ecc. A tutti coloro che hanno una buona qualità e stanno facendo un percorso di allenamento serio verso l’alto livello sto provando a far capire che quando arrivano al circolo il telefonino deve andare subito in borsa; che si deve arrivare almeno 15 minuti prima dell’inizio del lavoro, facendo il riscaldamento in autonomia seguendo i piani stabiliti; che si saluta sempre per primi il maestro, che ci si comporta all’interno della struttura con rispetto e presenza. Può sembrare una banalità, ma ti assicuro invece non lo è. Anche se solo vuoi fare dell’ottimo sport a livello regionale, devi mostrare impegno e focus, soprattutto per te stesso, perché è qualcosa che ti aiuta a crescere oltre il campo da gioco. È importante che i ragazzi capiscano la differenza tra l’apparenza e la sostanza. Quel che conta non è l’apparire, quella foto o quella giocata che mostri online, ma la sostanza, l’essere concreti e realizzare qualcosa di vero, che dura ed è tuo. Devono capire il valore del lavorare in campo con impegno e determinazione, l’andare a rincorrere una palla e salvarla anche se non conta o è fuori e ripartire subito, sono cose che dimostrano la tua voglia, l’impegno, il volerti dedicare a quel che fai, e oggettivamente è una qualità che nei ragazzi si trova di rado. Magari trovano delle scuse per non farlo… Devi fargli capire che ogni palla è un’occasione che serve a loro stessi. Quanto desiderio hai di colpire quella palla ancora una volta e farti valere? Lavorando su questi aspetti puoi cambiare la loro mentalità, si possono ottenere grandi risultati se riesci a farti ascoltare. E soprattutto, alla fine il risultato lo ottengono loro, perché sono loro che migliorano e crescono come tennisti e come persone. Chi riesce a capirlo non solo si applica di più e ottiene di più, ma si diverte di più, trova un focus superiore rispetto a prima. È bello e importante far capire che non sono gli 11 punti di fine allenamento che determinano se la sessione è andata bene o male, ma come l’hai affrontata e quanto ti sei speso: da come ti sei riscaldato a come hai seguito il programma. Noi tecnici cerchiamo di dare ai ragazzi, ma anche i ragazzi devono dare noi seguendoci e mettendoci impegno”.
    Parli di aspetti molto profondi, legati all’insegnamento e al concetto di miglioramento. Le difficoltà forse sono anche colpa della società in cui viviamo, dell’essere abituati all’avere tutto e subito, senza alcuna pazienza per completare un percorso necessario a crescere, magari sperando di diventare un ottimo giocatore?“Purtroppo il problema spesso deriva anche dai genitori, che magari a casa, al circolo col maestro sino a qualche piazzata davanti a tutti arrivano a dire ‘eh, ma io sto investendo su mio figlio…’. Ma che significa… si investe su di una casa, non su di un figlio! Reputo che a un figlio debba esser data un’opportunità di crescita, e poi se diventa un ottimo atleta abbiamo fatto centro. Ma se non lo diventa e ha fatto un percorso scegliendo le persone corrette che gli fanno capire che ci sono delle regole, dei compiti, un lavoro, un obiettivo, sicuramente col tempo e con il sacrificio qualcosa si ottiene sempre. Di sicuro da un punto di vista umano e personale, che è di pari o superiore importanza rispetto al lato sportivo”.
    Si torna al mantra di tanti coach: il talento da solo non basta“Ma alla fine, cos’è il talento? Non è solo saper giocare un diritto in scioltezza, un rovescio in salto… Il talento per me è qualcosa che hai dentro, è nella serietà di fare tutto al meglio ogni giorno, nello svolgere con costanza un’azione finché non diventa automatica con “impegno gratis”, come mi ha insegnato Sartori al corso da coach. Le sue parole mi sono restate dentro: se vedete dei ragazzi che danno impegno gratis, puntate su di loro, hanno talento”.
    In chiusura, pensi quindi che sia molto importante lavorare sulla testa dei ragazzi, fin da giovani, quanto nel gioco?“Assolutamente. L’ho visto anche nella competizione del Lemon Bowl di pochi giorni fa, con tanti ragazzi di talento ma con comportamenti esagerati o che alla lunga non fanno bene. Lavorare sul riconoscimento delle emozioni è importante, è una cosa che andremo ad affrontare anche con Agnese, insieme ad altri aspetti tecnici (il diritto per esempio). Fa bene la Federazione a puntare sulla figura del mental coach per i ragazzi che mostrano un certo talento e propensione alla crescita. Lavorare sulla testa dei giovani reputo sia fondamentale, allenare la mente è decisivo perché si tende ad essere stressati fin da piccoli, magari rincorrendo risultati o precocità”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO