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La nuova vita di Srna Markovic: “Ci vuole coraggio a ricominciare da zero”

Sentiamo spesso parlare di giocatori e giocatrici che nonostante l’età avanzata non riescono a dire basta. In molti casi si tratta di grandi campioni che hanno passato tutta la vita sul taraflex e al pensiero di affrontare nuove sfide vanno in tilt, finendo per rimandare il più possibile il momento fatidico dell’addio alla pallavolo.

Ci sono, però, anche alcuni casi di giocatori che accusano il problema inverso: nel fiore degli anni, seppur magari all’apice della carriera subentra in loro un malessere, un’insofferenza nei confronti del pallone e di tutto ciò che gli gira attorno, tale da spingerli a cambiare radicalmente vita. La storia di Srna Markovic rientra proprio in questa categoria.

In un’intervista esclusiva ai microfoni di Volley News, l’ex schiacciatrice austriaca – che in Italia ha vestito le maglie di San Giovanni in Marignano, Cuneo e Scandicci – ha parlato della sua carriera e della nuova vita dopo essersi ritirata.

La carriera di uno sportivo ha una durata relativamente breve se confrontata con qualsiasi altra. Una volta usciti definitivamente dal campo, inizia una vera e propria seconda vita. Com’è quella di Srna Markovic?

La mia ‘seconda vita’ è qualcosa di meraviglioso. È un dono poter vivere una carriera piena di esperienze e successi in giovane età per poi dedicarsi a nuovi sogni e diventare genitori, come nel mio caso. Penso che la mia carriera – con tutti gli alti e bassi che lo sport comporta – e il lavoro che ho fatto su me stessa mi abbiano preparato al nuovo ruolo di mamma e ad essere l’esempio che vorrei per mia figlia“.

In base alla tua esperienza, quali sono state le difficoltà di costruire una nuova vita da zero?

Per me è stato difficile accettare di non seguire la strada che immaginavo quando ero più giovane (neurobiologia e ricerca sul cervello) e aprirmi a un cambiamento sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista professionale. Dato che durante l’ultimo anno della mia carriera avevo già iniziato a studiare Psicoterapia, è stato naturale decidere di chiudere il capitolo relativo alla pallavolo e voltare pagina. Penso che in generale serva tanto coraggio per lasciare uno sport in cui hai un nome e sei stimata, e progettare una nuova vita da zero, lontana dalla tua comfort zone, con tutte le incertezze che comporta“.

Che cos’è “Praxis Parliamo” e di cosa si occupa?

È il nome della mia attività da Psicoterapeuta libera professionista. L’obiettivo è di fornire un ambiente accogliente e non giudicante, dove tu possa esplorare liberamente i tuoi pensieri, sentimenti e comportamenti. Durante la mia carriera sportiva mi era capitato di incontrare molta gente che affronta le sfide della vita; così, combinando le mie esperienze personali, i miei studi, la resilienza e il mindset da atleta, cerco di cambiare qualcosa nel mondo e far risplendere la luce laddove magari le persone non la vedono più. Mi rivolgo a persone adulte o adolescenti che combattono sfide come l’ansia, la depressione, lo stress, i problemi relazionali, i traumi e la bassa autostima. In più mi sto specializzando sulle neurodivergenze: autismo, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ipersensibilità, ecc.. Ultimamente ci sono anche tante mamme tra i miei clienti“.

Facciamo un passo indietro. Quali sono stati i motivi che al termine della stagione 2021-2022 ti avevano spinto ad appendere le ginocchiere al chiodo a soli 26 anni?

Bella domanda… In realtà, avevo iniziato a maturare questa decisione già durante l’anno della pandemia, quando ero rimasta fuori due mesi per via della positività al Covid. Lì stavo già rivalutando i miei valori, sogni e progetti per il futuro: alla fine, ho capito che la mia felicità, quella vera e totale, si trovava altrove. È stato difficile lasciare una carriera in fase di crescita e respingere buone offerte; però, sono contenta di aver fatto questa scelta coraggiosa perché poi ho trovato una nuova serenità“.

In un brano dedicato alle cose che contano nella vita Jovanotti afferma: “Se lo senti lo sai”. Quanto è stato importante per te seguire la bussola interiore e fare quello che di cui avevi realmente bisogno?

Come dicevo, nella mia mente c’erano voci che stavano diventando sempre più forti; perciò, non potevo fare altro se non fermarmi ad ascoltarle, dando loro lo spazio adeguato. A mio parere, una persona deve sempre seguire quei principi che le permettono di essere se stessa senza compromessi. Dato che spesso mi è capitato di trovarmi in contesti nei quali magari mi sentivo sbagliata o diversa, volevo trovare un posto dove stare bene e sentirmi giusta così come sono“.

Ripercorrendo le tappe principali della tua carriera da giocatrice, quali sono i ricordi più belli? E cosa ti rende più orgogliosa?

Senza dubbio la tappa più significativa è stata quella di Cuneo, dove ho preso coscienza di me stessa come giocatrice e ho trovato un ambiente familiare grazie alla società e ai tifosi. A rendermi più orgogliosa sono i titoli di MVP che ho vinto contro le big, ma anche il fatto di aver sempre avuto un po’ di tempo da dedicare ai tifosi e ai bambini che venivano a sostenerci, e il coraggio di continuare a inseguire il mio sogno di diventare una pallavolista quando da bambina non credevano nelle mie potenzialità. Lo stesso coraggio che mi ha reso orgogliosa quando ho deciso di andare controcorrente e terminare la mia carriera sportiva per inseguire nuovi sogni“.

Si dice spesso che gli atleti hanno sempre rimpianti o rimorsi. Tu ne hai qualcuno? Con il tempo svaniscono o restano indelebili nella mente?

Ne ho tanti! I rimpianti restano indelebili così come tutti gli altri ricordi. Fanno parte del tuo vissuto e contribuiscono a spiegare perché sei così: senza tutti gli errori commessi non potrei mai essere la persona che sono oggi, e questo vale anche per i ricordi negativi. Adesso che ho fatto un lungo percorso di crescita personale e sono diventata mamma, mi pento di alcuni comportamenti sbagliati o permalosi che mi è capitato di assumere durante la mia carriera. Anche con le mie compagne sarei più paziente, tollerante e cordiale. E soprattutto non direi mai più che sono stanca: prima di diventare madre non sapevo cosa fosse realmente la stanchezza. Proprio per questo credo che la maternità sia un’esperienza che trasforma le atlete e dà loro una forza particolare quando poi tornano in campo“.

Cosa ti manca di più della pallavolo? E cosa invece non ti manca per niente?

Mi mancano la pallavolo, la sensazione di stanchezza muscolare, l’adrenalina che sale quando si entra in campo, il tifo del pubblico e il fatto di seguire la propria passione. Invece, non provo nostalgia per le trasferte in pullman e per gli orari da rispettare. Magari adesso non sono impegnata per tante ore, ma una cosa che adoro della mia nuova vita lavorativa è l’assoluta indipendenza; infatti, sono libera di decidere come sistemare gli appuntamenti in base ai miei bisogni“.

Quale pensi che sia il valore più importante che lo sport ti ha trasmesso?

Direi la disciplina perché senza di essa non si va da nessuna parte nella vita. Non deve essere vista come qualcosa di negativo, ma come una grande forza che aiuta a trasformare i propri sogni in realtà, a perseverare quando tutto sembra difficile, a trovare coraggio e a non perdere mai la speranza o il focus sull’obiettivo“.

Quali sono le tue ambizioni personali e i tuoi progetti professionali per il prossimo futuro?

Sicuramente vorrei far crescere la mia attività. Vorrei aiutare un numero sempre più grande di persone ad elaborare meglio il dolore e le difficoltà, e a renderle più consapevoli dei propri bisogni, dei desideri e delle emozioni che provano, cosicché un giorno mia figlia potrà vivere in un mondo nel quale si possano esprimere liberamente le proprie idee, si sappia dire di no e si possa mostrare se stessi senza nascondere nulla per paura o per vergogna. Parallelamente agli incontri individuali di ‘cognitive behavioral therapy’ (terapia cognitivo-comportamentale) e di ‘monodrama’, sto portando avanti anche due progetti per i gruppi: in quello rivolto alle aziende offro workshop sulla leadership efficace e sul potenziamento dei team manageriali, mentre nell’altro seguo giovani talenti dello sport nel loro percorso verso la vetta“.

Intervista di Alessandro Garotta


Fonte: http://www.volleynews.it/feed/


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