Da meno 24 al 29’ fino alla vittoria contro la corazzata Virtus Bologna. Può essere stata la domenica della svolta per la Happy Casa Brindisi. E l’analisi spetta al coach Frank Vitucci.
Vitucci, aveva mai vissuto una rimonta simile?
«Sono ricordato e mai dimenticherò la finale promozione in Serie A della Reyer Venezia contro Rimini nel 1996, quando rimontammo da -18 per vincere. Ma sono passati 26 anni. Nella pallacanestro di oggi 15-16 punti di vantaggio sono niente, non ti mettono mai al sicuro e nemmeno ti devono spingere nella disperazione. Certo, quanto è accaduto è molto inusuale, soprattutto in relazione al valore dell’avversaria, pensando a chi avevano a riposo e in panchina».
Quanto è stato importante il rientro d D’Angelo Harrison dal grave infortunio? E quanto potrà aiutarvi?
«D’Angelo era pronto la scorsa settimana, si è scelta la via della cautela. Si allena da un mese con la squadra, ma l’agonismo della gara è diverso. È stato in campo 17’, ma non credo comunque che arriverò a utilizzarlo 30’-35’, abbiamo alternative. Conta il fatto che sia in campo nei momenti decisivi per dare qualità, per il coraggio nell’assumersi responsabilità e per come trasmette il suo spirito ai compagni. Nel finale, con la Virtus c’era».
Lei è a Brindisi dal dicembre 2017. Si può dire vista la rivoluzione nell’organico che è iniziato un nuovo ciclo?
«Quest’anno abbiamo dovuto cambiare 11 giocatori su 12, il pacchetto italiani in toto. Chiaro che si corrono anche grandi rischi con le risorse giuste. E magari qualche valutazione o rischio che abbiamo preso non ha pagato come in passato. Ma abbiamo poi avuto l’occasione di ingaggiare Doron Lamb e ora c’è il ritorno di Harrison: confido sia sufficiente per dare continuità, esperienza, evitare ingenuità che ci hanno fatto perdere punti».
Parlavamo di nuovo ciclo, anche per via del palasport in costruzione.
«Il palasport ha avuto un rallentamento nell’inizio dei lavori dovuto all’innalzamento dei costi rispetto al budget di partenza. Però tutte le opere che servono sono state fatte. Io non so se riuscirò ad allenare nella nuova arena; vorrei, ma è inusuale restare così a lungo per un allenatore».
Che idea si è fatto di questo campionato?
«È il più equilibrato degli ultimi anni. Dal quarto posto in giù c’è un gruppone di qualità ravvicinata e il livello è un po’ cresciuto. Certo, ci sono le due corazzate che potrebbero presentarsi solo ai playoff».
E cosa pensa leggendo che Dame Sarr, 16enne italiano, debutta nel Barcellona?
«Abbiamo talenti importanti. Io ben volentieri li farei giocare a Brindisi. Ma i ragazzi scelgono i percorsi che ritengono più adatti. Anche Spagnolo la sua formazione l’ha fatta all’estero. A volte in Italia manca il coraggio di farli giocare. Ma dal punto di vista dell’insegnamento e della tecnica individuale non credo ci siano lacune. Abbiamo tecnici molto preparati. Il materiale invece è poco. È un guaio che i club importanti hanno disinvestito sui settori giovanili. Anche io mi chiedo perché Procida debba andare all’estero, comunque: il ruolo dei club di medio livello dovrebbe essere quello di investire sui giovani. Noi ci proviamo, per esempio quest’anno con Bayehe e Riismaa, in passato con Visconti e altri».
Visto l’equilibrio, guarda ai playoff o pensa a salvarsi?
«Penso alla salvezza. L’equilibrio è altissimo, non so se la quota salvezza sarà alta, o viceversa quella dei playoff più bassa. Magari si batterà il record della mia Torino che nel 2016 si salvò a 22 punti, gli stessi con cui retrocesse la Virtus. Non ci sono squadre materasso, si stanno tutte rinforzando. E le squadre procedono tutte a folate, si vive di momenti. Comunque penso che la vittoria sulla Virtus possa dare altro slancio alla nostra stagione. Potremo toglierci soddisfazioni».
Cancellieri e ora Banchi all’estero. Lei ci ha mai pensato?
«Ci penso, in alternativa a restare qui. Ci sono sempre meno barriere, del resto. Penso che gli allenatori italiani abbiano faticato a muoversi in passato per opportunità e/o comodità. Quando lo abbiamo fatto i risultati sono stati buoni. Però paghiamo dazio agli allenatori slavi, serbi, che millantano una scuola di livello più alto, perché hanno sempre avuto la mentalità per cogliere le occasioni e sempre fanno fronte comune. Noi meno».
Le diamo la bacchetta magica per aiutare il basket italiano.
«La userei per dare più visibilità al movimento. Poco spazio nelle tv in chiaro, sui giornali. E dovremo sfruttare le nuove tendenze, per esempio il 3×3, i tornei estivi. Al Sud servono poi le strutture. È quello il problema. Infine, darei una squadra di vertice a ogni grande città, non si può non avere in A Roma e Torino. Per finire vorrei ci fosse il coraggio di copiare da chi ci ha superati, dalla Bundesliga dove club come il Bayern hanno anche 70 impiegati».
Sorpreso da qualcosa finora?
«La novità più rilevante è Varese, per il metodo di lavoro. Si può giocare in modo diverso, la pallacanestro è bella perché si può giocare in tanti modi, ovviamente in relazione al materiale a disposizione e alle idee».
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