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Argentin, il Fiandre e quella meravigliosa primavera del '90

Oggi non ci sarà il Giro delle Fiandre, Alberto Bettiol resterà ancora per un po’ il campione uscente e una ventina di professionisti si daranno battaglia virtualmente davanti alla riproduzione da salotto e su rulli smart della Ronde. L’ultima volta che il Fiandre, nato nel 1913, non s’era corso era il 1918. Un ‘sempre’ lungo 101 anni interrotto dal coronavirus. Ricorre in questi giorni bui, però, l’anniversario di un pomeriggio pieno di luce.I dominatori del Nord“Domani” scrisse Mario Fossati su Repubblica, il 3 aprile 1990, “gli italiani corrono la Gand-Wevelgem. Sono i dominatori del Nord”. Quel “domani” non fu poi dominato da un italiano, quella Gand la vinse il belga Frison davanti a Museeuw e a Franco Ballerini. Quella frase di Fossati era però la chiusa di un pezzo che celebrava, a due giorni di distanza (Repubblica non usciva il lunedì) un trionfo assai insolito per un italiano. Era un evento che si ripeteva a 23 anni dall’ultima volta, e anche quella aveva seguito di 16 la prima, ossia l’ultima di un trittico anch’esso mitico, e perduto nel tempo. Il 1° aprile 1990 Moreno Argentin aveva vinto il Giro delle Fiandre, come Dino Zandegù nel 1967 e Fiorenzo Magni nel triennio 1949-1951. Tre italiani in 74 edizioni, fino ad allora, di una corsa selvaggia, remota, pittoresca, fredda e mitica, con i corridori che sembravano attraversare i campi e le strade dipinte da Bosch, Vermeer e Van Eyck dietro i suoi crocifissi, adatta ai maestri del Nord, appunto, quelli che dominavano, i Vlaamsen (i fiamminghi, i padroni di casa) e che avevano smesso di farlo quel giorno, proprio quel giorno, nel 1990.Il pomeriggio di un giorno di soleEppure Argentin, dall’alto del suo metro e 71 centimetri, non sembrava, anzi, non era nato per scalare i bergs, gli strappi in pavé che disseminano la Ronde van Vlaanderen, troppo piccolo e troppo grandi gli altri. “Forse sì, e forse per quello noi italiani l’avevamo vinta così poche volte. Ma il Fiandre non è la Roubaix. Il Fiandre è fatto di strappi e uno scattista, se assistito da una gamba stratosferica e da una giornata di sole, là in mezzo ci può stare”. Oggi Moreno di anni ne ha quasi sessanta e quel giorno quasi trenta. “Ci andai senza troppo crederci, ero in un momento difficile della mia carriera”. Aveva vinto un Mondiale molto giovane, in Colorado nel 1986, e già tre Liegi, un Lombardia. “Ma poi avevo chiuso il mio rapporto con la Gewiss-Bianchi ed ero passato all’Ariostea con Giancarlo Ferretti. E forse questo è uno dei segreti di quel giorno”.Stranger ThingsIn verità, Moreno non indossava la maglia giallorossa della squadra ferrarese, né il cappellino che anni dopo sarebbe finito in testa un po’ per caso a uno dei personaggi di Stranger Things. Aveva la maglia tricolore di campione d’Italia e un caschetto, dotazione rara questa, per quell’epoca ancora molto spericolata. “Quando buttai un occhio al cielo, al mattino, vidi che era bello, una giornata bellissima” racconta oggi, “una giornata, pensai, di quelle che magari qualcosa, alla fine, chissà”. Il ritrovo, al mattino, a Sint-Niklaas: “Ci cambiammo nei bagni dei caffè della piazza centrale della cittadina, il fumo a un palmo dal soffitto e un forte odore di birra, già alle 8. Le Fiandre non hanno nessun fascino in nessun altro giorno dell’anno. Per un giorno solo, sono il posto più bello della Terra”.I bergs, ossia i muriTredici bergs, in ordine sparso più o meno quelli di oggi, anzi, quelli che ci sarebbero stati oggi, senza il coronavirus. Oggi il Fiandre sarebbe partito da Anversa e sarebbe arrivato a Oudenaarde, con il suo finale inconfondibile e perfetto, Oude Kwaremont e Paterberg, e prima il terribile Koppenberg, il monte delle teste. Nel 1990, dopo il Kapelmuur, o come si preferiva dire allora, dopo il Muro di Grammont, c’era il Bosberg, una lingua quasi pianeggiante di irti sassi.La sfida con Dhaenens sul GrammontLà, dopo oltre 250 km, Argentin era già da solo con Rudy Dhaenens, fiammingo di Deinze, sette vittorie in carriera. L’ultima di esse, il Campionato del mondo di Utsonomiya, in Giappone, 5 mesi esatti dopo quel Fiandre. Otto anni dopo, a carriera finita, poco prima di commentare per la tv belga il Giro delle Fiandre, fu coinvolto in un incidente stradale e morì. In suo ricordo si è corso per un po’ il Gp Rudy Dhaenens, oggi non più. “Trovarlo dopo il Grammont è stata la mia fortuna” racconta Argentin, “siamo andati di comune accordo, insieme, con lo stesso obiettivo e più o meno con le stesse forze. Sul Bosberg l’ho guardato e ho temuto che potesse piantarmi là, non lo ha fatto forse perché temeva esattamente lo stesso, di essere piantato lui da me, lì. Avrà pensato che al massimo arrivo secondo, sapeva che ero più veloce”. Sapeva, anche, che Argentin era reduce da una Sanremo ben corsa e chiusa al 4° posto dietro uno scatenato Bugno.Il magnifico NovantaTrent’anni fa lo sport stava regalando agli italiani una meravigliosa primavera. La Milano-Sanremo vinta da Bugno fu il primo momento altissimo, e poi Bugno si ripeté al Giro, in rosa dalla prima all’ultima tappa, l’ultimo a riuscirci. Chiappucci per poco non vinse il Tour, e Marco Giovannetti, tra aprile e maggio, aveva vinto la Vuelta, quarto italiano di sempre dopo Conterno, Gimondi e Battaglin. Le squadre italiane dominavano nel calcio: il Milan vinse la Coppa dei Campioni, la Samp la Coppa delle Coppe, la Juventus la Coppa Uefa, in finale sulla Fiorentina. Nessun paese aveva mai vinto nello stesso anno tutte le coppe europee. Tra calcio, basket e volley, tre piazze insolite, non digiune ma insolite, avevano festeggiato lo scudetto: il Napoli, la Scavolini Pesaro e il Maxicono Parma. La primavera finì nelle Notte magiche di Italia ’90, l’estate sarebbe stata più amara.“Una volata di quelle belle”Argentin, però, intanto vinceva il Fiandre, battendo in una volata a due Dhaenens, “di quelle belle, ma facile solo vista su Youtube, in mezzo a tutta quella gente, e poi tutti per lui. Una soddisfazione che non si può raccontare, come tutto quello che successe dopo, il gran casino, il podio”. Ventitré anni prima Dino Zandegù aveva preso un microfono, mentre festeggiava, e aveva cantato ‘O Sole Mio, strozzando l’acuto finale, e cantandolo come poteva farlo un padovano. È veneto anche Argentin, nato a San Donà di Piave, “prodotto del basso Piave, innamorato di questa terra, tanto che vorrei presto prestare tutti i miei cimeli al nostro Museo della bonifica, le mie maglie, compresa quella di campione italiano di quel giorno. L’avevo vinta 10 mesi prima a Pontedecimo, vicino Genova, il Giro dell’Appennino valeva come campionato italiano”.Padre spiritualeNemmeno due settimane più tardi Argentin avrebbe vinto la prima Freccia Vallone, la prima delle sue tre. Aveva riunito assieme due classiche dalle opposte caratteristiche e di due mondi diversi, quello ruvido e contadino dei Vlaamsen e quello più snob, francofono e impiegatizio della regione di Liegi, la Wallonie, dov’è Huy e dov’è il suo celebre, spietatissimo Muro. “La seconda vittoria alla Freccia, quella del ’91, per come arrivò, con quel dominio di squadra assoluto, è stata forse la mia giornata più bella in bicicletta”. Dal ’90 al ’94 a Huy hanno vinto sempre gli italiani: tre volte Argentin, una Furlan, una Fondriest. Il ’94, l’ultimo anno di Argentin, fu anche il suo primo e unico da gregario alla Gewiss: con lui, trascinato anche dalle sue tirate in montagna, il russo Berzin riuscì a battere il giovane Pantani. Altre voci, altre stanze e un’altra epoca del ciclismo, dentro quel duello russo-romagnolo accompagnato dallo sguardo paterno di un ex campione del mondo diventato gregario. La stessa parabola poi di Bugno alla Mapei, di Chiappucci alla Carrera. Quelli del ’90, di quella primavera di trent’anni fa.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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