Non era possibile esaurire il racconto di una vita, di una carriera lunga, lungimirante e soprattutto attualissima come quella di Stefano Patriarca in una sola intervista. Abbiamo preferito dare assieme degli assaggi di vita pallavolistica che toccano qua e là una storia che percorre Italia, ma anche la Bulgaria, dove Patriarca in un passato recente, prima di illuminare il palcoscenico della Romeo Sorrento, ha lasciato un buon ricordo.
“Per una questione di vicinanza e di necessità famigliari ho scelto di rifiutare alcune proposte per continuare la mia esperienza estera e ho scelto Sorrento. Non sono pentito, anzi, il riavvicinamento era un obiettivo, senza badare ad un discorso legato alla categoria”.
Cosa ha trovato alla Romeo?
“Un progetto, oltre ad una società che si fida di te e del contributo e dell’entusiasmo che hai voglia di portare al suo interno. Sorrento è una realtà in cui tengo molto a rappresentare un punto di riferimento, per contribuire alla guida della squadra e alla crescita del gruppo. Con i ragazzi e con la società sto molto bene e per ora l’inizio è stato positivo”.
Di lei al di fuori del campo si conosce poco. La sua famiglia invece è conosciutissima nel territorio molisano.
“Per quel che mi riguarda tengo gelosamente privata la mia vita al di fuori della pallavolo. La mia famiglia, dal 1861, svolge l’attività di panificazione. Nell’antichità i miei antenati avevano i forni in cui cuocere il pane, nel dopoguerra i miei nonni e ora i miei genitori hanno trasformato quell’attività anche in una panetteria e pasticceria che sì, è conosciuta ad Agnone e non solo. L’occasione di avvicinamento è data dal fatto che in estate riesco a dare una mano alla famiglia, e col tempo vorrei riuscire anche a prendere in mano un pochino le attività che in un futuro mi troverò a gestire”.
Cosa la potrebbe trattenere nel mondo della pallavolo?
“A scanso di equivoci, ho ancora molta voglia di fare. Avevo anche io il desiderio di trovare un po’ di pace e poter avere la mia famiglia vicino a 37 anni è un’opportunità. Lo scorso anno, dopo Ortona, una stagione difficile dal punto di vista mentale, avevo quasi deciso di smettere. Ci si è messo di mezzo un infortunio a rendere il tutto meno sereno e ogni partita è stata sfiancante”.
Quest’anno un inizio da primo della classe nel girone blu della A3. Per uno come lei esiste il pensiero della A2 o è superfluo soprattutto in questa fase?
“La A2? Guardi, ogni allenamento, dopo il nostro saluto al centro del campo, io dico sempre che non siamo ancora salvi. Bisogna lavorare con la mentalità con cui affrontare ogni singolo giorno e ogni singolo allenamento è l’unica cosa da fare. La società non ci ha messo pressione e ci ha chiesto in primis di divertirci, perché ha capito che tutti abbiamo una grande fame e una grande voglia di fare bene. Si è creata una bella alchimia che serve per dedicarsi al lavoro in palestra con la dedizione giusta”.
Ventunesima stagione in A. Il periodo che ricorda con più affetto?
“Le mie cinque stagioni a Castellana. Sono rimasto molto legato alla squadra e al territorio. Sportivamente e personalmente si è creato un rapporto che non si esaurirà mai”.
La ricordiamo all’inizio della sua avventura a Castellana con highlander tipo Cicola o Cozzi.
“Un’altra pallavolo. Anni incredibili. Un ricordo fra tutti è quello di noi che andiamo a giocarci la salvezza al Palaverde con la Sisley di Fei e Papi. Il palazzetto stracolmo e una grande emozione giocare in quel tempio”.
Cosa le hanno insegnato quegli anni?
“La disciplina, la cura di sé, dell’alimentazione, lo spirito di sacrificio, i rapporti umani”.
Fondamentali anche per il periodo della nazionale.
“Fondamentali”.
Lei pubblica spesso foto del periodo a Piacenza.
“Fu un anno molto importante. Con Zlatanov e Tencati riuscii ad instaurare un rapporto molto speciale. È una città alla quale sono rimasto legatissimo”.
Chi sono gli amici veri della pallavolo?
“È una domanda molto difficile e ingiusta perché ne lascerò per strada qualcuno. Però a bruciapelo le dico Marco Meoni. Nell’anno di Verona, che è stato un po’ quello della consacrazione, è stata una persona di valore, dal profilo umano importante e averlo come compagno di squadra è stato importantissimo. Le dico anche Jiri Kovar, ma anche Podrascanin. Li vedo poco, ma siamo rimasti molto legati”.
Lei, anni fa, apparì anche nel famoso appello televisivo a Le Iene per salvare da una brutta vicenda il suo ex compagno e amico Roberto Cazzaniga. Con la delicatezza che contraddistingue un argomento così, posso chiederle cosa rimane di quella storia?
“L’unica cosa che viene da dire è che lo abbiamo liberato. È un discorso molto ampio, complesso, non esauribile in una sola domanda. Per me che ho vissuto gli anni con Roberto è difficile parlarne. Posso dirle che ha iniziato una seconda vita. Questa è l’unica cosa che conta”.
Di Roberto Zucca LEGGI TUTTO