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Open Court: Dimitrov, l’eclissi di una promessa non mantenuta (di Marco Mazzoni)

Siamo solo a metà, ma l’annata tennistica 2019 è talmente ricca di spunti che la ricorderemo a lungo. Gli azzurri ci stanno esaltando: quasi ogni settimana abbiamo note liete da raccontare, tra tornei vinti, finali, semifinali, best ranking, giovani e giovanissimi in grande ascesa. Nadal risorgee domina ancora Roma e Parigi, rigenerato dopo i tanti dubbi sorti dall’avvio incerto sul rosso. Ironman. Djokovic potrà non scaldare i cuori, ma resta il più forte su piazza, come dimostrano i due Slam vinti. Federer commuove, incredibile produrre un tennis di questa qualità e quantità a quasi 38 anni, ma… fa “morire” l’esercito dei suoi tifosi con la sconfitta più dolorosa della sua carriera a Wimbledon. A questo potremmo aggiungere molte altre prime pagine: dal ritorno di Murray dopo il quasi-addio a Melbourne e l’operazione all’anca all’ennesimo doloroso crack di DelPo; l’ascesa di Felix Auger Aliassime e Tsitsipas, i due probabili “big one” in attesa di conferme dagli altri giovani. Il primo Masters 1000 di Fogninie l’ingresso nella top10, impresa che vale una carriera. Questo e tanto altro, e certamente sto dimenticando qualcosa.

In questo vortice di partite, personaggi ed emozioni, sta scivolando via l’annata e probabilmente anche la carriera di Grigor Dimitrov. Il bulgaro è reduce da qualche problema fisico alla spalla, ma quel tennista che solo un anno e mezzo fa vinse il Masters (oltre ad un Masters 1000), issandosi al n.3 del ranking di fine anno, è completamente sparito. Spazzato via non solo da problemi fisici, ma soprattutto agonistici e tecnici. Eppure si era affidato al “guru” Agassi per tentare una vera ripresa. Ci credeva, e mi auguro ci creda ancora… anche se il campo parla chiaro. Chiarissimo. Sconfitte, solo sconfitte. Brutte, pesanti. Match buttati via, spesso condotti e poi clic, la luce si spegne. Titoli di coda. L’ultima proprio all’esordio ad Atlanta, dove lo sconosciuto Kevin King (405 ATP) è stato capace di rimontare da 2-4 nel primo e 0-3 nel secondo. Ok, lo yankee giocava in casa, non aveva niente da perdere, ma non è la prima volta che Grigor crolla. A Wimbledon era ad un passo dal battere Moutet, rimontato e sconfitto al quinto. Sull’erba amica del Queen’s è uscito immediatamente. Un filo meglio sul rosso, dove almeno ha portato a casa qualche match, ma senza mai arrivare ad una qualità di tennis nemmeno vicina a quella del suo talento tecnico. Il 2018 è stato grigio, quindi la tendenza viene da lontano, è consolidata. È sceso sotto il n.50 del ranking. E da dietro in molti spingono…

Riprendersi da un problema fisico non è mai facile, ma qua c’è sicuramente dell’altro. La sensazione generale è quella di un tennista in estrema sfiducia, e non più sostenuto da una condizione fisica così buona da sostenere un tennis mai evoluto al 100%. Era facile esaltarne le doti nel 2017, con molte vittorie, anche prestigiose. Personalmente avevo commentato il suo successo con più di un dubbio, chiedendomi “sarà l’inizio di quella carriera sperata, o è già vicino al limite?”. La mia sensazione è che fosse già troppo “tirato”. Che le grandi vittorie erano state ottenute grazie ad un livello di intensità fisica ed agonistica notevolissimo, ma senza un salto, quel salto di qualità nel gioco e nella tattica da permettergli di consolidare quel livello toccato. Purtroppo, i fatti stanno dimostrando questa teoria.

Nelle sue grandi vittorie 2017, Dimitrov non mollava una palla. C’erano anche bei vincenti, frutto di un braccio tutt’altro che banale; ma nei momenti più duri del match, vinceva i punti non grazie ad un Ace, un dritto in accelerazione, una volee dopo un attacco; li portava a casa soffrendo, rimettendo, sprintando, spendendo ogni goccia di sudore e non mollando mai. Ottimo. Ma non per un tennista “costruito” per produrre gioco. Questo è sempre stato il problema di Dimitrov. Un ragazzo dotato di un bel braccio, di un gioco elegante, ma senza la velocità di esecuzione, l’attitudine offensiva e la “testa” capace a sostenerlo nei grandi match. Un tennista costruito, modellato verso un idealtipo troppo ardito per le sue reali qualità. Non una mazzata di servizio e dritto, non l’anticipo di “un” Federer (molto studiato…), non la velocità di esecuzione di un Fognini. Un bel giocatore, ma incompiuto perché incapace di “compiersi” verso quello che sperava. Il livello toccato nella sua stagione d’oro doveva essere la base su cui evolvere. Prendere coscienza della propria forza e quindi trovare la lucidità per esprimere ed esplodere il suo potenziale, la sua qualità. Non ci è riuscito. Era ad esempio il salto di qualità di cui è stato capace Wawrinka, passando da potenziale campione a campione vero. Stan aveva alla spalle ben altra “artiglieria”, ma era assai deficitario sul piano atletico e mentale. Con un gran lavoro sappiamo tutti cosa è riuscito a fare. Dimitrov evidentemente no. Il bulgaro ha da sempre un tennis meno esplosivo rispetto a Stan, colpi meno definitivi. Ma è un giocatore brillante, completo, buono per ogni superficie, molto veloce in campo. Purtroppo non è riuscito a tenere quel livello fisico di prestazione, probabilmente superiore alla sua reale cilindrata; e nemmeno è riuscito ad inserire nel suo gioco quel che gli serviva per competere alla pari con i big: un servizio più incisivo, una risposta più continua, un tennis più veloce in anticipo alla ricerca del punto. Appena è sceso sul piano fisico, è calato vistosamente anche sul piano mentale e della consistenza. Addio vittorie.

Seguo da sempre con attenzione il suo gioco, fin da quando era la classica “eterna promessa” del ’91, perso tra troppi cambi di coach e l’incapacità di dare una direzione precisa al suo tennis. Sembrava ci fosse riuscito, che fosse finalmente arrivato dove conta. È stata una piccola illusione. Probabilmente aveva intrapreso una strada “errata”. Attenzione: non che fosse errata in assoluto, perché i risultati sono arrivati; il suo 2018 ed il misero 2019 ci dicono che è stata una direzione non adatta al suo fisico, alla sua testa, al suo tennis tecnico ma leggero. Lui dice di crederci, fortemente. Che il lavoro con Agassi darà i suoi frutti. Glielo auguro, sinceramente, perché in mezzo a molte delusioni ci ha regalato anche bei match e discrete emozioni. A 28 anni Grigor è tutt’altro che vecchio, vedendo il trend del nostro sport. La sensazione è che resterà una promessa non mantenuta. Mi auguro di essere smentito.

Marco Mazzoni

@marcomazz


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


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