Saranno passate da poco le ore 17 di sabato 11 maggio quando i cultori del Giro d’Italia inizieranno a farsi una prima, sia pur vaghissima idea, sugli aspiranti alla maglia rosa finale a Verona. La crono di apertura di Bologna vedrà infatti subito lo scontro frontale tra tre dei protagonisti più attesi. Il nastro della edizione numero 102 lo taglierà Tom Dumoulin alle 16:50. A stretto giro di posta toccherà poi a Primoz Roglic e Vincenzo Nibali. Una collocazione oraria che – almeno stando ai santoni del meteo – dovrebbe consentire loro di evitare una pioggia poco gradita al momento di spingere a tutta nello strappo finale verso San Luca. Per comporre il puzzle dei favoriti però bisognerà attendere altre tre ore, quando arriverà Simon Yates. Lo stesso britannico spiega il perché della scelta: “Nessuno sa davvero come sarà il meteo sabato, è solo una previsione. Di solito voglio conoscere il tempo dei miei avversari, quindi partirò come da piano originale, ultimo dal mio team. Non cambierò la bici prima alla salita”. Un poker d’assi, al quale comunque vanno aggiunti almeno un paio di outsider, in un Giro buono per tutte le stagioni. Non si possono lamentare gli specialisti della crono: già la prima, sia pure breve (8 km) non è da sottovalutare, e poi ci sono quella del giro di boa da Riccione a San Marino e quella finale di Verona. Non si possono lamentare gli scalatori: senza citare tutte le tappe, basta accennare a quella breve e brutale di Courmayeur (salite molto dure concentrate in 130 km) oppure alla giornata monstre con Gavia e Mortirolo.
L’uomo più in forma, ne hanno preso atto anche i bookie, è Primoz Roglic. Lo dicono i risultati: le classifiche finali conseguite alla Tirreno-Adriatico e soprattutto -vista la vicinanza con il Giro – al Romandia parlano chiaro. A crono va forte ed in salita non è facile staccarlo. Il ciclismo però non è solo gamba, ma anche personalità, resistenza alle pressioni. Esempio: nell’edizione del 2016 il rosso olandese Kruijswijk sembrava avere partita vinta, ma non seppe resistere alla sfida lanciata da Nibali finendo per compiere lo sbaglio fatale nella discesa dal Colle dell’Agnello. Inoltre tre settimane sono un’eternità, e Roglic oltre il sia pur ottimo quarto posto dello scorso Tour non è mai andato.
La sensazione nel complesso è di un Giro senza super uomini, in cui più che le virtù, conteranno i limiti. Vedere Tom Dumoulin e la sua capacità di gestirsi sul passo nelle salite più dure. Ad esempio lo scorso anno (comunque di altissimo livello visti i secondi posti a Giro e Tour) fece l’errore di lasciare spazio ad uno scatenato Chris Froome, che dal dito concessogli siprese tutto il braccio sullo sterrato del Colle delle Finestre.
Restando allo scorso anno, di limiti ne ha palesati in maniera eclatante Simon Yates: tre settimane da quasi dominatore, con quel ‘quasi’ racchiuso in una cotta spaventosa che lo mandò alla deriva. Il segreto del suo eventuale successo sarà nella capacità di controllare il suo impeto da agonista inglese, sempre pronto all’attacco, per non buttare in fondo al pozzo energie inevitabilmente decisive negli ultimi giorni. Alla Vuelta lo ha saputo fare, e questo tra i due segnali contrastanti dà più una pendenza positiva alla bilancia. E poi c’è lui, Vincenzo Nibali. Si è molto parlato del fatto che lo Squalo non sia riuscito ancora a vincere in stagione:“Non significa niente”, è stata la sua replica. Condivisibile, basta ricordare che nell’anno del trionfo al Tour, era rimasto all’asciutto fino al campionato d’Italia, tanto da indurre l’inflessibile Vinokourov, boss dell’Astana per la quale correva, ad una intempestiva lettera di richiamo. I pro per un suo tris in rosa sono la classe da vendere e la capacità di interpretare le corse che gli altri a nostro avviso non hanno. I contro sono anagrafici: sopra i 34 solo Magni e Rominger hanno vinto il Giro e Vincenzo, giorni alla mano, è ancora più vecchio di loro…
Due outsider ma non troppo. Miguel Angel Lopez è una garanzia in salita ma ha tanti km a cronometro – non il suo forte – da superare. Miguel Landa sembrerebbe – condizionale d’obbligo – aver perso, tra varie vicissitudini, il treno per vincere un grande giro, ma ha classe ed esperienza soprattutto nelle tappe di montagna.
Gli outsider veri. A parte Zakarin, Jungels, Formolo, sospesi tra una classifica buona e la caccia a tappe di prestigio, la curiosità è per vedere all’opera Pavel Sivakov. L’Ineos (ex Sky) aveva puntato tutto su Egan Bernal prima che il colombiano si fracassasse la clavicola in allenamento. Ora tocca al russo, salito agli onori della cronaca con la vittoria al Tour of The Alps, fare il capitano dello squadrone(ino) britannico. In Trentino Sivakov ha avuto Froome gregario di lusso, e in montagna questo ha fatto la differenza. Stavolta la maglia rosa uscente guarderà il suo delfino sul divano di casa.
Chiudiamo con gente immune allo stress della classifica, fatta eccezione per i calcoli sul tempo massimo da rispettare nelle tappe più dure. Le volate si presentano appassionanti. Per fortuna Elia Viviani (Deceuninck-Quickstep) e Fernando Gaviria (Uae Emirates) non sono più nella stessa squadra, quindi si potrà gustare il duello mancato lo scorso anno. Ma gli sprint saranno tutto meno che un discorso a due: basta citare l’australiano tascabile Caleb Ewans (Lotto-Soudal), il tedesco Pascal Ackermann (Bora-Hansgrohe) ed il francese Arnaud Demare (Groupama-Fdj).
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