Il passaggio del testimone è stato perfetto. Alberto Tonut, triestino classe 1962, fu protagonista di pagine epiche del basket degli anni 80 e 90 in Nazionale (oro europeo nel 1983) e con i vari club in cui ha militato. È il papà di Stefano, nato nel 1993 a Cantù dove il genitore giocava, e oggi uomo copertina, un po’ inaspettatamente, della Italia. Gli azzurri, dopo l’esordio vincente contro l’Angola, oggi a Manila sfiderà la Repubblica Dominicana .
Alberto, come vivete a casa Tonut queste giornate azzurre?
«La partita contro l’Angola l’abbiamo vista tutti assieme davanti alla tv. Tifiamo e il cuore batte forte per le giocate di Stefano. Lo confesso, quello che alla fine soffre di più sono sempre io».
Suo figlio era un predestinato?
«No, nessuno di noi lo ha spinto per forza verso il basket. Certo, visto che io giocavo e lui veniva a vedermi, era forse inevitabile. Portare un cognome importante, quando ha scelto la pallacanestro, poteva essere pesante, ma lui non ci ha mai fatto caso. Quando decide una cosa va dritto per la sua strada. Come in campo».
Accetta consigli o critiche da lei?
«Sempre. Stefano non è un presuntuoso. Sa bene quello che vuole e per raggiungerlo si sacrifica. Quando era piccolino e ha iniziato ero felicissimo, però non credevo che avrebbe avuto una carriera così. È diventato un giocatore completo che sa unire grandi doti di attaccante con una propensione difensiva importante. Ormai mi risulta difficile criticarlo come poteva accadere qualche anno fa. Mi trovo spesso a dirgli: bravo!».
Il ct Pozzecco lo vorrebbepiù egoista. Concorda?
«Ha ragione. Spesso rinuncia a un tiro aperto per un passaggio in più. Però è fatto così e credo che ormai sarà difficile cambiarlo. L’altruismo è certamente una dote che ti fa anche benvolere dai compagni. Certo, qualche conclusione in più non guasterebbe…».
Cosa ha pensato quando il Poz è stato nominato ct?
«Sono di parte perché per me Gianmarco è come un fratello. Suo papà è stato un mio coach e siamo legatissimi. Però il mio giudizio non è influenzato da questo. Poz è l’allenatore arrivato al momento giusto nel posto giusto. I giocatori della Nazionale sono ormai fatti e formati. Sì, bisogna costruire un canovaccio tattico, ma serve farli stare bene, fargli avvertire fiducia. Caricarli, insomma. Poz in questo è un maestro».
Chi è stato il suo Pozzecco?
«Sono stato allenato dal meglio del meglio: Gamba, Zorzi, Bianchini, Lombardi, Messina. Se devo dire chi mi ha dato di più non ho dubbi: Alberto Bucci”».
Che basket è quello di oggi rispetto a quello giocato da lei?
«Se riguardo le nostre partite sorrido. Sembra che sia innestato il tasto del rallentatore. Questi oggi corrono e saltano come pazzi! La nostra Nazionale era più definita nella specificità dei ruoli, quella di adesso ha tanti giocatori intercambiabili. Stefano e gli altri azzurri producono un buon basket1: andranno avanti».
Suo figlio leader in azzurro. Se lo immaginava?
«Sono orgoglioso, se avessi dovuto disegnarlo lo avrei voluto così. Lui leader lo è sempre stato per le sue caratteristiche. Ma non più degli altri. La forza di questa squadra è che ognuno porta un grande contributo: il leader carismatico è Melli, quello del killer instinct Spissu, Stefano quello silenzioso, Datome per esperienza, Ricci per motivazioni».
Che messaggio vuole mandare a Stefano?
«Non gli auguro di fare un buon Mondiale…perché sono certo lo farà! Tutto quello di buono che sta mostrando lo aiuterà a fare un’ottima stagione anche a Milano».