C’è mercato e mercato. E ci sono stranieri di valore e altri assai meno, tanto essere subito dimenticabili. Milano ha presentato al suo pubblico Shabaz Napier, ex Nba, giocatore e uomo vincente nonostante un fisico all’apparenza non da predestinato dei canestri. È l’undicesimo straniero stagionale dell’Olimpia che ha finito i tesseramenti. Ma non è questo il punto. È piuttosto il numero di giocatori che servono per completare una stagione doppia. Non puoi fermare il mercato, è vero, ma si può rendere più sostenibile. E se l’Armani e pure la Virtus vivono nella realtà di Eurolega, per quanto sovradimensionata certo diversa dall’Italia, il nostro movimento deve trarre insegnamenti. A che servono i vari Invernizzi (ci scusi, prendiamo il suo nome a caso), se i risultati di Treviso e lo spettacolo, la qualità del gioco non cambiano? La risposta è nota a tutti. Di più c’è che magari i vari, troppi stranieri non di assoluto livello possono attirare il pubblico una volta per curiosità. E stop. Un giocatore italiano, ancor più se giovane, può invece creare più empatia nel pubblico, interesse. E nel frattempo può crescere e aiutare il movimento.
Ha ragione Baiesi
Tutto questo, detto e ripetuto, per sostenere che ha stra-ragione Daniele Baiesi, inizialmente corrispondente da Bologna per Tuttosport e ora uno dei direttore sportivi più preparati e bravi in Europa. Rilasciando un’intervista per il ritorno a casa, al Corriere di Bologna – con il Bayern Monaco allenato dal geniale super coach Trinchieri – Baiesi ha detto: «Arriverà un momento in cui le squadre di un certo livello dovranno aggregarsi ai campionati nazionali nei playoff, come succede già in Serbia. Capisco che agli altri club facciano comodo gli incassi con le big, ma non si può fare oscurantismo che è l’opposizione del progresso. Abbiamo la testa nel 2023 e i piedi nel 1980». Condividiamo tutto. Il futuro avanza e se non ti adegui perdi terreno. Invece i top club potrebbero aiutare gli altri in modo diverso, contribuire per esempio per la formazione dei talenti. E i club potrebbero essere obbligati a investire sui settori giovanili. Troppo semplice?