Una medaglia mondiale che mancava da 11 anni, dal trionfo di Ballan a Varese nel 2008. Eppure l’argento conquistato da Matteo Trentin lascia un retrogusto amaro all’Italia del ciclismo. Sul circuito di Harrogate, nella volata a tre con il nuovo campione del mondo, il danese Mads Pedersen, e con lo svizzero Kung, medaglia di bronzo, il trentino è sulla carta il più veloce. Non vince per un semplice motivo: gli si spegne la luce a pochi metri dal traguardo. Secondo: la delusione ci sta, come ci sta l’appannamento che non ti aspetti dopo 261 km corsi in condizioni climatiche al limite, tra secchiate d’acqua e tanto freddo, su un tracciato ‘scontroso’, pieno di curve, rilanci, saliscendi e due salite, l’ultima proprio al traguardo. Una corsa bellissima, in generale e anche per quel che concerne il comportamento degli azzurri. ‘La Squadra’, come viene chiamata in gergo quella azzurra non ha tatticamente sbagliato mezza mossa. E’ entrata in azione quando doveva, al momento giusto e con gli uomini giusti. Poi vince uno…
Gli azzurri sarebbero sicuramente piaciuti a Felice Gimondi. “Non mollare mai fino alla fine”, il suo motto recitato sulle maglie degli azzurri nel giorno in cui avrebbe compiuto 77 anni. Come probabilmente Felice sarebbe rimasto sorpreso da Remco Enevepoel, il piccolo Cannibale belga. Quando il vecchio Gilbert, all’ultima chance mondiale della sua carriera, cade, il 19enne talento non solo si ferma ad aspettarlo, ma lo consola, gli fa sentire il contatto fisico, poi cerca di riportarlo dentro. Missione fallita, anche perché nel momento topico qualche altro belga – vedere De Clerq – dà inopportune tirate in testa. Gimondi sarebbe rimasto sorpreso, perchè il Cannibale, quello grande, Eddy Merckx, avrebbe probabilmente abbandonato il compagno al proprio destino per giocarsi le proprie chance.
Piccole, grandi storie in un mondiale indimenticabile. Già in partenza la sorpresa: troppo maltempo, si accorcia sensibilmente la parte in linea e si dà più spazio al circuito, da 7 a 9 giri. In totale si passa da 280 a 261 km. Gara imprevedibile: fa strano vedere subito in avanscoperta vincitori di grandi giri come Roglic, Caparaz e Quintana, che sanno di non averne più di tanto e vogliono lasciare un segno, una immagine. L’Italia controlla bene la situazione: unico inconveniente serio, il ritiro di Ulissi, rimasto attardato dalla rottura del cambio. E’ una gara ad eliminazione: Sam Bennett, Asgreen e tanti altri, trovano solo nel box un riparo a volti lividi di freddo. Anche Alejandro Valverde, il campione del mondo uscente, alza presto bandiera bianca.
La prima vera svolta ad una settantina di km dall’arrivo. Vanno via Kung e Craddock: quest’ultimo non ce la fa, rientrano Teunissen, Pedersen e Moscon. A 30 km dall’arrivo si muove il grande favorito della vigilia, l’olandese van der Poel. Trentin mangia la foglia, si accoda. Tra cedimenti e rientri, si forma un quintetto, dietro non reagiscono. Trentin, Moscon, van der Poel, Pedersen e Kung. Il mondiale è alla svolta. E’ forte l’olandese, è quello che tira di più, è quello che cerca di sfoltire il quintetto. Finisce però per sfoltire se stesso. Crisi improvvisa ad una quindicina di km dall’arrivo, presunzione o inesperienza? Risposta complicata, ma il suo mondiale è bello che andato. Davanti restano in 4, Moscon è chiaramente il prossimo candidato a staccarsi. La salita intermedia del circuito infatti gli è fatale, come sembra esserlo anche per Pedersen, che soffre tremendamente su una tirata di Kung. Il danese però tiene. Finale a tre, Trentin favorito, ma alla fine fa festa proprio il 23enne Pedersen. E pensare che in questa stagione ancora non aveva vinto.
“É stata una corsa dura, al limite dell’umana comprensione. Sono ancora qui che tremo per la fatica -analizza Trentin-. Ero lì che pensavo di fare la volata, sulla carta ero il più veloce ma alla fine sono stato battuto. In una gara così dura la carta non conta nulla. Pedersen è stato più forte, ha tenuto in salita e ha vinto alla grande. Un vero peccato, mi brucerà per tutto l’anno. Sarà dura da mandare giù ma domani sorgerà il sole di nuovo, questo è lo sport. Non sono così deluso, perché non ho perso di un centimetro. La volata? Sono partito ai 200 metri, è quella la mia distanza e Kung non mi è stato dietro. Il rewind non esiste. Lo sport è questo”.
Sulla stessa linea il ct Cassani: “C’è delusione, ho pianto. E’ stato meraviglioso vedere la squadra muoversi così, sono stati semplicemente fantastici. Dispiace che ci abbia battuto Pedersen, ma io sono orgoglioso di questa squadra: non abbiamo vinto e quindi non è valso a nulla, ma gli azzurri sono stati davvero bravi”.
ORDINE D’ARRIVO
1 Mads Pedersen (Denmark) 6:27:28
2 Matteo Trentin (Italy)
3 Stefan Kung (Switzerland) 0:00:02
4 Gianni Moscon (Italy) 0:00:17
5 Peter Sagan (Slovakia) 0:00:43
6 Michael Valgren Andersen (Denmark) 0:00:45
7 Alexander Kristoff (Norway) 0:01:10
8 Greg van Avermaet (Belgium)
9 Gorka Izagirre Insausti (Spain)
10 Rui Costa (Portugal)
11 Sonny Colbrelli (Italy)