Fagianate, scatti e scie di Luca Gregorio e Riccardo Magrini (Rizzoli editore, con preziosa prefazione di Paolo Condò), è il riassunto di tutto ciò che è possibile ascoltare durante le loro telecronache su Eurosport, un lemmario semiserio in cui veglione del tritello, padellone, gamba ramata e frullata appaiono accanto ai più classici gruppo, ventaglio, ammiraglia. Voce per voce, si entrerà così nel meraviglioso mondo del Magro, che fu corridore, direttore sportivo e, da qualche anno, maramaldo appassionante del microfono. Con loro le telecronache del ciclismo, tradizionalmente lunghe e non di rado noiose, vi parranno colorate e briose come una grande festa popolare.
Com’è nata l’idea, Magro?
“Con il mio compagnone Luca Gregorio ci è venuta in mente durante le telecronache: il libro è nato così, d’istinto, come tutte le cose belle e divertenti”.
La parola chiave è “fagianata”. Cos’è esattamente?
“Un’azione d’attacco nata alla chetichella, due, tre pedalate come i passetti del fagiano che quatto quatto prende il largo senza farlo vedere. Il fagiano, si dice da noi in Toscana, va via “di pedina”. Il primo a guadagnarsi il titolo di fagiano da me fu Luciano Lorenzi, correvamo insieme al Giro della Provincia di Reggio Calabria. Andò via zitto zitto. L’ultima fagianata vincente che ricordi l’ha fatta Peter Sagan alla Roubaix 2018. Due, tre pedalate in testa, non sembrava nemmeno uno scatto. E lo rividero all’arrivo”.
Fino all’altro ieri, con Luca Gregorio, avete raccontato la Vuelta. Che corsa è stata e c’è stata qualche fagianata?
“Una corsa selvaggia e imprevedibile, vinta bene e in modo sornione da Primoz Roglic. Ma ci ha mostrato un gran bel giovane, lo sloveno Tadej Pogacar, che ho subito ribattezzato Pikachu. Perché ha un cognome difficile e perché sembra un cartone animato. Fagianate vere no, ma abbiamo visto numeri di alta scuola. Le due tappe vinte da Gilbert sono state capolavori. E occhio a Gilbert per il Mondiale di Harrogate”.
Oltre a Pogacar, la stagione ci ha mostrato tanti giovani di talento pazzesco: Bernal, Evenepoel, Van der Poel. Chi di loro segnerà i prossimi dieci anni?
“Io voto per Evenepoel, a 19 ha già vinto San Sebastian e non si è ancora ben capito se sia un corridore da gare in linea, da corse a tappe o da entrambe. Siamo in una nuova era della bicicletta, i corridori sono meno sparagnini e attaccano da lontano. L’ha fatto molto bene Pogacar nell’ultima tappa di montagna della Vuelta. Scriteriato, avremmo detto pochi anni fa. Ora attaccare sta tornando per fortuna di moda”.
Il Mondiale, il 29 settembre, che gara sarà?
“Complicata, ma molto dura, e la durezza la farà la lunghezza del percorso (285 km) e il continuo susseguirsi di salite e discese. Una Liegi ma più complicata da interpretare. Vedo bene i classicisti delle Ardenne e i belgi hanno una squadra che fa paura. Ma occhio anche all’Olanda, con Van der Poel che ha molte soluzioni al suo arco”.
Dal prossimo anno sarà anche team manager di una squadra Continental.
“Sì, saremo il vivaio della Deceunink Quick-Step e andremo alla ricerca di giovani talenti. Ne abbiamo sotto contratto una quindicina, per gran parte italiani, con diversi figli d’arte, e faremo un buon calendario internazionale. Saremo il Team Monti. Ma, tranquilli, non lascerò le telecronache, mi diverto troppo. Il ciclismo mi diverte troppo, ancora”.