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    Ciclismo, tweet razzisti: Trek-Segafredo ferma Simmons

    ROMA – Quinn Simmons l’ha combinata grossa. Il più giovane atleta del World Tour è stato sospeso dalla sua squadra, la Trek-Segafredo, per razzismo. Il 19enne corridore statunitense, campione del mondo juniores un anno fa, è finito nella bufera nella serata di ieri quando su Twitter ha manifestato il proprio supporto al presidente Donald Trump in risposta a un messaggio scritto dalla giornalista belga, José Been, che invitava i sostenitori del presidente americano a non seguirla più. Simmons ha salutato provocatoriamente con un “bye” accompagnato da una manina di colore che saluta, simbolo questo che, usato in simili circostanze, assume per convenzione connotazioni razziste.Stagione finita?Immediata la reazione della formazione a stelle e strisce. “Trek-Segafredo sostiene il diritto di libera espressione, ma al contempo tiene in considerazione le persone per le loro parole e le loro azioni. Purtroppo il ciclista Quinn Simmons ha pubblicato online frasi che riteniamo divisive, incendiare e dannose per il team, per il ciclismo, per i suoi tifosi e per il futuro positivo che speriamo di aiutare a creare. Per questo, non correrà per la nostra squadra fino a nuove comunicazione”. Simmons avrebbe dovuto correre domenica la Liège-Bastogne-Liège per poi chiudere con la Scheldeprijs, la Ronde van Vlaanderen e la Parigi-Roubaix, ma molto probabilmente ha già chiuso la stagione. LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Freccia Vallone: capolavoro di Hirschi sul Muro du Huy

    E’ stato già detto e scritto quando al Tour de France ha dominato la tappa di Sarran Correze. Ripeterlo però ci sta: con Marc Hirschi è nata una stella, una delle tante in questo ciclismo avvolto da un tumultuoso ricambio generazionale guidato dal vincitore del Tour de France, Tadej Pogacar. Ventidue anni, svizzero, pupillo di Fabian Cancellara, uno degli enfant prodige in circolazione, Hirschi si prende la prima classica della carriera: gestisce l’arrampicata impossibile sul Muro di Huy (pendenze che toccano il 25%) con forza e freddezza e conquista la Freccia Vallone. Con lui la Svizzera interrompe un lunghissimo digiuno di vittorie nella corsa della Vallonia: l’ultimo, unico, a vincere, era stato Ferdi Kubler con la sua doppietta nel 1952 e 1953. Hirschi sale inoltre sul podio dei più giovani vincitori della Freccia: è terzo dopo Demeersman, vincitore della prima edizione nel 1936  a 21 anni e 150 giorni ed Eddy Merckx (1967 a 21 ans e 315 giorni). Scalza Giuseppe Sarroni, che aveva vinto nel 1980 a 22 anni e 208 giorni..”Bisogna essere forti nelle gambe, ma soprattutto bisogna esserlo nella testa per sopportare e superare le difficoltà”: le prime frasi del vincitore sembrano pronunciate da un veterano. Invece sono di uno che si è appena affacciato nel ciclismo che conta e che è freschissimo di podio mondiale (il bronzo di domenica scorsa a Imola). A proposito di Mondiale, mancava il neo iridato Julian Alaphilippe (vincitore delle ultime due edizioni), così come era assente il decano del gruppo, Alejandro Valverde, che a Huy aveva fatto l’abbonamento vincendo 5 edizioni, 4 consecutive dal 2014 al 2017. Questo però non toglie nulla alla bravura di Hirschi, che a questo punto diventa uno degli uomini da battere anche per la Liegi di domenica prossima. Ma non ci sarà comunque possibilità di trittico delle Ardenne, vista la cancellazione della Amstel Gold Race, la classica olandese prevista per sabato 10: l’emergenza Covid ha consigliato gli organizzatore ad alzare bandiera bianca.  LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, van der Breggen vince Freccia Vallone femminile per la sesta volta di fila

    HUY (Belgio) – L’olandese Anna van der Breggen, neo campionessa del mondo, ha vinto la Freccia Vallone femminile per la sesta volta consecutiva, dopo aver sbaragliato il campo in cima al terribile Muro di Huy. Quattro giorni dopo aver conquistato la maglia iridata a Imola, Van der Breggen è stata in grado di seguire un attacco della connazionale Demi Vollering sulla ripida salita fino al traguardo. Vollering ha esaurito le energie negli ultimi metri e Van der Breggen ha superato anche la danese Cecilie Uttrup-Ludwig vincendo allo sprint. Vollering ha completato il podio.Domenica la Liegi-Bastogne-LiegiPrima delle azzurre Elisa Longo Borghini (Trek-Segafredo), che ai Mondiali di Imola aveva conquistato la medaglia di bronzo. ”È stata senza dubbio la più sofferta di tutti i miei successi. Ho aspettato gli ultimi cento metri per dare tutto quello che mi restava e cercare la vittoria”, le parole della van der Breggen, che sta vivendo un momento a dir poco strepitoso: da fine agosto ha vinto i campionati dei Paesi bassi, poi la prova a cronometro all’Europeo di Plouay fino alla storica doppietta della settimana scorsa a Imola (crono e strada) e appunto alla Freccia Vallone. L’olandese ora è la favorita d’obbligo per la Liegi-Bastogne-Liegi di domenica prossima. Principale avversaria la sua connazionale e detentrice del titolo, Annemiek van Vleuten, che ha ormai recuperato definitivamente dall’infortunio al polso. LEGGI TUTTO

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    Malvaldi: “Il mio Toro piacerebbe anche ai vecchietti del BarLume”

    Marco Malvaldi, scrittore e chimico, noto tifoso granata, da cosa nasce, per uno come lei, nato a Pisa, il fascino del Torino?”Ma me lo chiedo spesso anche io. Avrei potuto nascere milanista, oppure interista, o magari tifare per la Fiorentina. Per la Juve no”.Tifare Torino è come stare con Ettore contro Achille: fin troppo facile come similitudine. Da scrittore quali altri esempi le vengono in mente?”Tifare Torino è come corteggiare una suora: possibile, per carità, e se ci riesci è il genere di cosa che racconterai per tutta la vita. Ma anche se rimedi un comprensibile due di picche, è una cosa da raccontare. Come facciamo noi. Fin troppo spesso”.Come ha cominciato a seguire il calcio? A che età? E ci ha mai giocato?”Ho cominciato come tutti, da bambino. Da bambino però tifavo per la Nazionale, principalmente. Mi ricordo ancora i mondiali del 1982, uno dei momenti più coinvolgenti della mia infanzia. Giocare ho giocato tanto, come tutti ai campetti di fronte alla chiesa, in piazza San Paolo, a Pisa. Sui campi veri ho giocato poco. In entrambi i casi, ero in porta. Credo la dica lunga su quanto so giocare a pallone…”Quali sono i suoi eroi calciatori? E perché secondo lei il calcio è così capace di produrre miti e memorie collettive?”Come detto, il mondiale spagnolo è uno dei miei momenti preferiti, e i miei eroi sono da quel punto di vista Gentile e Zoff. Il mio eroe torinese è Riccardo Maspero, credo che per i torinisti non ci sia bisogno di ricordare perché”.Chi è l’Artusi del Torino?”Senza dubbio Sergio Vatta, allenatore della primavera del Torino per un tempo immemorabile: c’è stato un momento in cui praticamente ogni squadra di serie A aveva in organico un giocatore della primavera del Toro, compresa la Juventus… Vatta era uno che si sforzava di fare il meglio con il materiale a sua disposizione”.Cosa sa del 1976 e del giorno dello scudetto di Radice? All’epoca aveva due anni: ha rivisto qualcosa di quel periodo?”Ho letto il bellissimo libro di Eraldo Pecci, Il Toro non può perdere. La mia storia preferita è quella di Luciano Castellini, il portiere dell’ultimo scudetto. Castellini era un emotivo, come me, e metteva di nascosto nella borraccia la birra mescolata con la gazzosa. Una volta Graziani la assaggiò per sbaglio e la sputazzò. Radice, sergente di ferro, arrivò e assaggiò anche lui. Luciano, questa è birra, disse. Ma prima che scattasse la punizione Claudio Sala si gettò ai piedi di Graziani: ‘Miracolo! Ciccio ha trasformato l’acqua in birra! Mister, è un presagio, quest’anno vinciamo lo scudetto’. E ho visto non so quante volte il gol di Pulici a Boranga”.La fine del Grande Torino, Superga, sono la Storia nella storia. Come la racconterebbe in un romanzo?”Non la racconterei, semplicemente. Oltre alla storia della squadra, e dei giornalisti e delle persone che erano su quell’aereo, c’è il dolore privato dei familiari e di tutti quelli che gravitavano intorno a quel mondo. Io sono uno scrittore umoristico, e mi sembrerebbe una mancanza di rispetto parlare di quell’accadimento in maniera romanzata. Non ne sarei capace in nessun modo”.Meroni poteva giocare solo nel Torino?”No, avrebbe potuto giocare anche nel Manchester United. Però oltre non si va”.Quali sono i derby che ricorda di più?”Quello della stagione 1994-95, che fra l’altro si è giocato poco prima del mio compleanno, quello di andata, anche se abbiamo vinto pure quello di ritorno. E poi l’ultimo vinto, visto negli studi di sky accanto a Ciro Ferrara: ironia della sorte, uno dei pochi juventini che mi sta simpatico, è un gran signore. Non ho nemmeno potuto esultare troppo”.Non c’è troppa nostalgia nell’epica del Torino? I suoi vecchietti del BarLume che commento farebbero a tutti questi ricordi epici?”I vecchietti del BarLume seguono più che altro il ciclismo, il calcio è uno sport troppo ricco per loro. Però, senza dubbio, si dividerebbero e ci litigherebbero sopra. E farebbero bene, perché i miti servono per fare appassionare le persone, ma nessuno ha mai vinto una partita raccontando una bella storia”.E Belotti che fa il gallo ci starebbe bene con i suoi anziani? È davvero il simbolo del Torino?”Ora come ora sì. Segna, si sbatte e prova giocate difficilissime in momenti decisivi: come quella rovesciata, tentata in un momento cruciale per arrivare in Europa, un anno fa, contro il Sassuolo. Pochi l’avrebbero fatto, lui l’ha fatto due volte, e la seconda è anche andata bene”.Quale maglia, anche del passato, indosserebbe, con che nome e che numero, e perché?”Vorrei la maglia numero 10 di Abedì Pelé, uno dei grandissimi, arrivato in un anno disgraziato, ma che ci fece vincere il derby del 1995 insieme a Rizzitelli. Una classica partita contro la Juve, con tanto di rigore inventato – e parato. Ero allo stadio, mi ero dimenticato gli occhiali e ogni tanto me li facevo prestare dalla moglie di mio cugino…”.Lei ha detto: scrivere per lo stesso editore di Camilleri, Sellerio, è come giocare nel Torino.”È esattamente quella sensazione lì: giocare per la squadra della quale sei tifoso. Credo capiti a pochissimi. È un onore, è un colpo di fortuna. Di quelli da tenere stretti”.La parola tifoso e la sua etimologia cosa ci dicono di noi?”Che ci sono momenti in cui non ragioniamo. Scientemente. E va bene così, una vita fatta solo di razionalità ci condurrebbe alla depressione in maniera inesorabile. Bisogna sapere quando spengerla, e tenere bene presente gli effetti nefasti che questo può avere. Solo l’umorismo, secondo me, può aiutarci a effettuare la transizione inversa tornando persone razionali. Ci aiuta a tornare singoli, e staccarci dal contagio della massa di cui abbiamo scelto di fare parte poco prima. Cosa che deve avvenire anche quando qualche idiota, con la scusa del tifo, insulta”.Che cosa vorrebbe festeggiare in questa stagione da tifoso del Torino?”Faccio finta di non aver capito la domanda. L’anno scorso mi aspettavo l’Europa, ci siamo salvati per un pelo…”.Brutta partenza, sì. Cairo deve fare altri acquisti? Che giocatori servono?”Il Toro ha bisogno disperato di un regista, e soprattutto di coerenza. Non si prende un allenatore come Giampaolo se non si hanno i giocatori giusti”. LEGGI TUTTO

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    L'Italia sbiadita del ciclismo, senza fenomeni a cui aggrapparsi

    Ride and smile è il motto dell’Unione ciclistica internazionale. Per l’Italia, però, da ridere c’è ben poco. Anche se questo Mondiale ha portato il pesantissimo oro di Filippo Ganna nella cronometro, il 10° posto di Caruso nella prova in linea come miglior risultato azzurro sulle strade di casa sembra davvero poco. Vero è che il percorso non si adattava agli azzurri e che il migliore di loro sui violenti strappi da Liegi del percorso iridato di Imola, Diego Ulissi, ha avuto problemi di stomaco nei momenti decisivi. Perfetto, fosse stato al massimo della forma, sarebbe stato Gianni Moscon: ma, appunto, al massimo della forma non era ed è rimasto a casa. Ciclismo LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, Mondiali: trionfa la Francia con Alaphilippe. Italiani mai in gara

    Non vincere il Tour da 35 anni è un punto fermo negli incubi dei francesi, ma  da ora in poi il loro sonno sarà un po’ più leggero. Julian Alaphilippe scrosta la ruggine ad un altro tabù, e la Francia vince il Mondiale dopo 23 anni. A Laurent Brochard, che aveva sorpreso tutti a San Sebastian nel 1997, succede Alaf, che sul circuito di Imola non sorprende nessuno. Il suo scatto nel momento topico se lo aspettavano tutti, ma nessuno è stato capace di tenergli la ruota. Vince lui, vince la squadra francese: pronta, sempre dentro la gara a gestire situazioni di tutti i tipi. Alaphilippe parte ad una decina di km dall’arrivo, quando le pendenze di Cima Gallisterna sono più cattive. Wout van Aert, uno dei grandi favoriti della vigilia, perde l’attimo per restargli attaccato. Roba di pochi metri. Van Aert e lì, e con lui Hirschi, Kwiatkowski, Fuglsang e Roglic. Al massimo una quindicina di secondi, ma la fortuna di Alaphilippe è proprio la presenza di van Aert: nessuno lo vuole portare in carrozza ad uno sprint che vincerebbe senza problemi (infatti domina e si aggiudica la medaglia d’argento), e per il francese i giochi sono fatti. Ricapitolando: trionfo Francia, mezza sconfitta del Belgio, delusione totale da parte dell’Italia. D’accordo, non c’erano attaccanti di sfondamento: Nibali ha provato sull’ultima salita ma le gambe non lo hanno sostenuto. Caruso è stato il migliore: decimo, come al Tour. Ma ribadiamo, delusione totale: non essendo tra i favoriti, gli azzurri potevano ‘divertirsi’ a infiammare la gara, magari con azioni impossibili, alla vittorio Adorni, più volte evocato nei giorni scorsi ricordando la leggendaria impresa mondiale, proprio a Imola, nel 1968.  LEGGI TUTTO

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    Coni, Bach: “Legge sport non rispetta Carta olimpica. A rischio medaglie a Tokyo”

    ROMA- “Siamo molto preoccupati riguardo la situazione e il funzionamento del Coni. E questa preoccupazione sta crescendo. Abbiamo scritto una lettera al ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, rappresentando la seria preoccupazione perché vediamo che con questa legge il Coni non è conforme alla Carta Olimpica. In questo momento vediamo un rischio impattante sulla preparazione degli atleti olimpici dell’Italia per le Olimpiadi di Tokyo: questo può significare meno chance di medaglie per l’Italia”, parole (durissime) del presidente del Cio Thomas Bach sulla riforma dello sport in iter di discussione da mesi ormai. Bach ha parlato a lungo in una conferenza stampa in occasione dei Mondiali di ciclismo a Imola dove erano presenti anche Giovanni Malagò e Francesco Ricci Bitti.Il Cio potrebbe sospendere il comitato olimpico italiano, gli azzurri non potrebbero gareggiare alle Olimpiadi sotto la bandiera tricolore ma solo l’egida del Cio. Niente inno di Mameli. Inoltre il Cio ha promesso quasi un miliardo a Miano-Cortina 2026, e questa cifra potrebbe tornare in discussione. “Siamo molto preoccupati sulla non funzionalità del Coni, che non è conforme alla Carta olimpica. Questo significa che siamo anche molto preoccupati per la preparazione e l’organizzazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Capisco che ora il Coni sta cercando un’altra soluzione, per riuscire a soddisfare i requisiti minimi, quindi essere in accordo con la carta olimpica e soddisfare. Il segretario generale del Coni ha bisogno di essere messo in condizione di lavorare nel pieno delle sue funzioni.Ora invece il segretario generale è soggetto alle istruzioni di società esterne al Coni”. Così il presidente del Cio Thomas Bach, riferendosi alla situazione del Coni in relazione all’ente pubblico Sport e Salute. Anche in passato il segretario generale (Carlo Mornati) dipendeva da Coni Servizi, che tuttavia era società operativa del Coni, mentre Sport e Salute è indipendente dal Coni e a rischio, secondo il numero uno dello sport mondiale, c’è anche l’operatività in diversi settori strategici: “Anche il marketing – sottolinea Bach – impatta sui cerchi olimpici e non può dipendere da società esterne. Speriamo che una soluzione venga raggiunta molto presto, perché Tokyo non aspetta e Milano-Cortina non aspettano”, ha spiegato ancora Bach, mai così pesante sulle inadenpienze del governo italiano. “Al momento c’è un incontro programmato (con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, ndr) per il 15 ottobre, ma molto amichevolmente dico che oggi non ci sono le condizioni per farlo. Al momento non abbiamo ricevuto una risposta dal ministro riguardo le preoccupazioni che avevamo espresso in precedenza”, così ancora Bach. Il ministro nei giorni scorsi aveva garantito che col Cio era tutto a posto. Dalle parole di Bach, non sembra affatto.Mercoledì 30 Spadafora incontrerà i partiti di Maggioranza per un ennesimo vertice: Pd e Italia Viva contestano alcuni punti della riforma che rischia di arenarsi. Lo stesso giorno vertice al Coni coi presidenti di Federazione, sempre più infuriati.  LEGGI TUTTO

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    Ciclismo, l'ItalSicilia all'assalto del Mondiale. Caruso: “Siamo l'anima allegra della squadra”

    IMOLA – Nove giri, 258 km, 5 mila metri di dislivello. Ma come si fa selezione sul percorso del Mondiale di Imola? La gara delle donne ha dato segnali contrastanti: Anna Van der Breggen è partita sulla seconda delle due salite del circuito, quella di Cima Gallisterna, ma non nell’ultimo giro, bensì nel penultimo. 40 km di fuga e il trionfo in solitaria con 1’20” sulla coppia Van Vleuten-Longo Borghini, argento e bronzo. Potrebbe andare così anche tra i maschi. Difficile. Ma non impossibile. L’Italia non conquista l’iride nella gara in linea dal 2008. Anche allora si correva in casa, a Varese e fu doppietta azzurra: 1° Ballan, 2° Cunego. “L’unico risultato buono in un Mondiale è vincerlo”, dice il ct Cassani. I favoriti di Imola però non indossano la maglia azzurra: Van Aert, Kwiatkowski, Alaphilippe, Roglic e Pogacar compagni di squadra in una Slovenia stratosferica, e poi Fugslang, Valverde, Hirschi, Dumoulin. Nibali viene dietro tutti loro, ma è Nibali e, come dice Cassani, “può sempre inventare il numero del fuoriclasse”. Da Cima Gallisterna all’arrivo ci sono 12 km tra falsopiano e discesa. Là serviranno gambe stratosferiche e sulla salita bisognerà aspettare l’attimo esatto dell’attacco. “Ad attaccare presto”, come ha ricordato anche Elisa Longo Borghini “ti bruci”. Damiano Caruso, il regista azzurro, miglior italiano dell’ultimo Tour de France (10° nella classifica finale, uno spettacolare 7° posto nella cronometro della Planche des Belles Filles), ha guardato in tv con attenzione la corsa in linea femminile. Impressioni, anche se dall’hotel del ritiro azzurro, a Riolo Terme? “Percorso durissimo, che farà selezione da solo. Ma l’azione buona potrebbe partire da molto lontano. Non possiamo escludere, che so, anche a 100 km dall’arrivo. Organizzarsi dietro sarebbe complicato”. Quali sono le indicazioni tattiche, quindi? “Dobbiamo arrivare numerosi, noi azzurri, nei momenti chiave. Non abbiamo una punta di assoluto riferimento, quindi dobbiamo lavorare molto di squadra. Capire i momenti, studiare gli avversari. E attenzione: forse non sarà utile fare gara dura. Perché la gara sarà dura già da sola”. Ciclismo LEGGI TUTTO