Alex de Miñaur ha deciso di affrontare la notizia dell’indagine della polizia che lo collega a presunti passaporti falsi COVID. Lo ha fatto rapidamente, in modo frontale e con dati specifici con i quali vuole chiarire ogni tipo di dubbio.
Il numero uno australiano ma residente in Spagna da molto tempo, dove si allena gran parte dell’anno, è una delle personalità di rilievo dello sport e della società iberica che è sotto inchiesta per il presunto acquisto (naturalmente illegale) di certificati covid-19. La stampa spagnola nomina decine di attori, musicisti e sportivi famosi, tra i quali il giovane tennista di madre spagnola, che ha compiuto 23 anni proprio questo giovedì.
TeleMadrid ha affermato questo pomeriggio che anche il nome di Alex – insieme a quello di altri volti noti dello sport e dello spettacolo quali gli attori Veronica Echegui, Alex Garcia e il cantante Omar Montes – sarebbe stato inserito nell’indagine “Operation Jenner” su cui sta lavorando la polizia di Madrid, relativa ad una associazione per delinquere finalizzata alla produzione di falsi test Covid o passaporti Covid falsi per permettere a persone non vaccinate di viaggiare in altri paesi del mondo.
La truffa era relativamente semplice: attraverso Telegram, un gruppo di persone vendeva certificati di vaccinazione contro il covid-19 a prezzi molto alti ed in cui la seconda dose doveva essere somministrata sempre nello stesso ospedale La Paz, a Madrid.
L’australiano però ha postato un lungo messaggio sui social media in cui ha spiegato tutto.
“Voglio evitare ogni equivoco. Ho ricevuto la prima dose di vaccino anti-Covid a Londra in estate e la seconda a Madrid, all’Hospital La Paz. Oggi è spuntato fuori che l’ospedale è sotto investigazione per aver fornito falsa documentazione ad alcuni suoi pazienti. Ma voglio sottolineare che io sono pienamente vaccinato e ho documentazione chiara e precisa che lo attesta. Tutti coloro che mi stanno intorno, compresi i miei familiari, sono vaccinati. Non sono indagato in alcun modo e il mio nome è spuntato fuori semplicemente perché ho frequentato l’Hospital La Paz, come centinaia di altre persone”.